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Olivier Roy: “Parlare di guerra non fa che rendere l’Isis più forte”

I discorsi di media e politici sono, oggi, le principali casse di risonanza dell'Isis. Secondo l'orientalista Olivier Roy chi parla di guerra asseconda la linea del fronte del terrore, finendo per cadere nella trappola di trasformare un pericolo locale in una "minaccia mondiale" che, proprio mentre perde terreno nel vicino Oriente, potrebbe guadagnarne in Europa

di Marco Dotti

Lo scorso 14 luglio, il tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel lasciava dietro di sé 90 morti sulla promenade di Nizza. Alcuni giorni dopo, lo Stato Islamico rivendicava l'attentato. Ma, osserva il grande orientalista Olivier Roy, intervistato da Atlantico.fr, ciò che preoccupa, sul piano strategico, è anche il linguaggio dei politici e dei media.

Un linguaggio, osserva Roy, che immediatamente, fin dalle prime parole ha accreditato l'Isis come un nemico globale. In sostanza, ha accreditato il discorso dell'Isis, avvalorandone la retorica. Appelli all'unità nazionale a parte, serve un discorso sul medio-lungo termine. Ed è proprio qui che l'isis rischia di essere vincente, indipendentemente da ogni sconfitta sul campo. L'Isis ha un discorso ha medio-lungo termine. I politici europei ne hanno uno?

Torniamo a Roy. Oggi, osserva lo studioso, l'Isis affascina tutti coloro che sono in cerca di una radicalizzazione. Parlare di guerra non fa che rafforzare l'immaginario (perverso) costituitosi e aggrumatosi attorno all'Isis e, di conseguenza, il circolo vizioso radicalizzazione-Isis.

«La logica della guerra – spiega Roy – non fa che rendere ancor più affascinanti certe azioni suicidarie». Perché, allora, piegare il proprio discorso dentro una logica di guerra? «Se parliamo di guerra, allora dobbiamo fare la guerra. Ma dove la facciamo? Per strada? In Francia?». Ciò che dimentichiamo, conclude Olivier Roy, è che la guerra dell'isis nel vicino Oriente non è la guerra dell'isis contro il resto del mondo. È una guerra complessa, che vede differenti attori sul campo – turchi, curdi, Assad, sciiti, Arabia Saudita – e su quel fronte l'Isis è in ritirata.

L'Isis non è il nemico principale di ciascuno degli altri attori-belligeranti del vicino Oriente. Ogni attore locale ha nemici globali diversi. Perché allora trasformare un pericolo così circoscritto in qualcosa che rischia di proliferare nell'intera Europa proprio a causa di della logica di un discorso da cui dovremmo tenerci a debita distanza? Perché cedere al discorso dell'Isis? Forse perché non ne abbiamo uno nostro?

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