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Olimpiadi: vietato l’ingresso in Cina agli ex malati di lebbra
Aifo prende posizione sulla decisione del governo cinese.
«E’ un provvedimento che stupisce ed addolora» afferma Francesco Colizzi, presidente di Aifo. «Mentre le Paralimpiadi, con il loro cammino parallelo, segnalano la pari dignità anche nello sport delle persone con disabilità, si discriminano e si escludono dalla semplice partecipazione come spettatori persone cui la Convenzione ONU del dicembre 2006 riconosce tutti i diritti umani. Nello spirito più profondo delle Olimpiadi, che è quello di unire persone e popoli e di valorizzare gli sforzi dell’uomo di superare i propri limiti, consideriamo questo divieto, che è privo di basi scientifiche, lesivo dei diritti umani e pertanto auspichiamo che il Governo cinese annulli questa decisione».
«In Cina molto è stato fatto per combattere i pregiudizi sociali contro questa malattia» si legge in un comunicato di Aifo. «Ormai esistono farmaci efficaci per bloccare il contagio della lebbra e per curarla entro tempi relativamente brevi. AIFO collabora con il Ministero della Sanità della Cina per la lotta alla lebbra dal 1989. Attualmente AIFO sostiene il progetto di lotta alla lebbra nella provincia dello Yunnan, cofinanziato dal Ministero degli Affari esteri italiano».
Yohei Sasakawa, Ambasciatore dell’Organizzazione mondiale della Salute per la lotta alla lebbra, ha lanciato un appello alle autorità cinesi per rivedere la norma, anche alla luce della Dichiarazione internazionale contro la discriminazione delle persone colpite dalla lebbra, approvata il 18 giugno scorso dal Consiglio delle Nazioni Unite sui Diritti Umani.
Sunil Deepak, responsabile scientifico dell’AIFO e membro della Commissione tecnica della Federazione Internazionale contro la Lebbra (ILEP), ha dichiarato: “Quando la malattia si manifesta clinicamente e può essere diagnosticata, le cure sono facili ed efficaci. In sostanza, la norma rappresenta una forma di discriminazione contro le persone che hanno avuto la lebbra e che portano i segni della malattia sul loro corpo, ma sono già state curate. In questo senso, la norma rischia di alimentare i pregiudizi contro la malattia e non ha una base scientifica dal punto di vista della salute pubblica”.
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