Welfare

Olimpiadi: Oxfam, grandi marche complici sfruttamento lavoratori

Scarsi i controlli delle multinazionali dell’abbigliamento sulle imprese a cui affidano commesse. I sindacati chiedono applicazione convenzione Ilo in tutto il mondo

di Francesco Agresti

Le Olimpiadi non sono solo agonismo, competizione e medaglie ma anche sfruttamento di migliaia di operai africani e asiatici che producono abbigliamento sportivo lavorando anche 17 ore per 3 dollari al giorno . La denuncia è contenuta in un rapporto della ong inglese Oxfam e dalla Clean Clothes Campaign associazione di consumatori, sindacati e organizzazioni di immigrati presente in 11 Paesi, e da varie componenti sindacali internazionali. “Nonostante gli impegni assunti dalle grandi marche”, speiga il Rapporto, “in occasione di scadenze importanti come le Olimpiadi le condizioni di lavoro di migliaia di operai peggiorano sensibilmente”. Dalla ricerca, che analizza le condizioni degli operai in Bulgaria, Cina, Turchia, Cambogia, Indonesia e Thailandia, emerge che un lavoratore cambogiano del settore tessile-abbigliamento ha percepito nel 2003 un salario annuale pari a 1.500 dollari. I 525 mila operai che lavorano per la Nike, invece, guadagnano in media 3 dollari al giorno, mentre le attività dell’azienda nel 2003 hanno registrato una crescita del 57% e i profitti lordi del 2002 sono arrivati a 1 miliardo e 123 milioni di dollari. Inoltre, 186 interviste ad operai, effettuate tra maggio 2003 e gennaio 2004, e altre 20 ai responsabili delle società hanno messo in luce le contraddizioni del meccanismo produttivo del settore. La filiera, infatti, passa per il lavoratore, il laboratorio, la fabbrica, il produttore, le società di intermediazione, la multinazionale che detiene il marchio, fino ad arrivare al rivenditore. Ma le multinazionali non sono le uniche a registrare grandi ricavi. L’impresa produttrice Pou Chen Group, che possiede impianti in Cina, Indonesia e Vietnam, per esempio, ha avuto nel 2002 un giro di affari pari a 1 miliardo 939 milioni di dollari, con un utile di gestione di 229 milioni. Dalle sue fabbriche escono scarpe targate Asics, Puma, Reebok, Nike, Adidas Secondo il Rapporto, le grandi multinazionali non esercitano controlli sufficienti per impedire che le aziende che lavorano per loro conto ricorrano a pratiche che violano i diritti dei lavoratori. Per questo, i sindacati internazionali chiedono, con la campagna ”Gioca pulito alle Olimpiadi”, che le imprese di abbigliamento sportivo mettano in campo politiche piu’ concrete per obbligare i fabbricanti a garantire remunerazioni adeguate, orari non eccessivi e condizioni essenziali di sicurezza sul lavoro. Al Comitato olimpico internazionale, inoltre, viene richiesto di inserire il rispetto dei lavoratori nei principi fondamentali della Carta olimpica, di far sottoscrivere in ogni contratto di sponsorizzazione clausole che obbligano le aziende a rispettare i diritti dei dipendenti e di favorire la creazione di una Commissione di controllo. Anche i sindacati italiani hanno aderito alla campagna. Cgil, Cisl e Uil, con le rispettive categorie del commercio e del tessile, hanno pure presentato un appello alle aziende Robe di Kappa e Lotto, sponsor dei Giochi olimpici, per sottoscrivere un accordo che impegni le imprese al rispetto delle tutele fondamentali del lavoro e a garantire la liberta’ di associazione sindacale. Il sindacato, inoltre, insiste perche’ ovunque siano adottate le altre convenzioni dell’Ilo relative al divieto del lavoro forzato, dello sfruttamento minorile e della discriminazione


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