Mondo

Ogni anno 420.800 persone sono uccise da armi piccole o leggere

Sono vittime di contesti al di fuori degli scenari di guerra e perdono la vira a causa di 650 milioni di armi, come pistole, fucili, carabine, fucili d’assalto, mitragliette e fucili-mitragliatori, spesso detenute legalmente. Una fotografia di quella che sembra una guerra polverizzata e invisibile

di Fabrizio Floris

I recenti fatti afghani ci hanno ricordato che non c’è giorno nella storia del mondo senza violenza. Una storia che si ripete come se fosse un dato naturale. «La storia», scrive David Van Reybrouck, «è un piatto abominevole preparato con i migliori ingredienti».

Una violenza che sta nell’assenza, nel passare oltre, nel dover lavorare gratis perché “così ti fai un nome”, nell’urbanistica (del disprezzo), nelle relazioni quotidiane, nelle relazioni tra gli Stati, tra governi e cittadini, tra criminali e cittadini, tra uomo e ambiente, tra uomini e donne e nella distribuzione della ricchezza. E tutto questo è un flusso non liquido, ma un dato strutturale delle società in cui il conflitto è onnipresente. A volte è qualcosa di così pervasivo che nemmeno si vede, appare una legge di natura, come la sottomissione di una casta, come una tradizione atavica. Lo sfondo generale sono i processi di selezione e stratificazione sociale attivi in tutta la società contemporanea. Sono fatti che non si vedono perché macinati nei tweet, negli instant, consumati velocemente. A questo occorre, come diceva Fenoglio, restituire la parola, raccontare i fatti per farli divenire come spiegava Nabokov “realtà”. Le parole appunto: armi “leggere”, così vengono chiamate mitragliatori pesanti, alcuni tipi di lancia granate, razzi anti-aereo ed anti-carro armato, sistemi di lancio di missili anti-aereo portatili e mortai dal calibro inferiore ai 100-120 mm; oppure armi “piccole” nel caso di revolver e pistole, fucili, carabine, fucili d’assalto, mitragliette e fucili-mitragliatori. Piccole o leggere le conseguenze sono pesanti: violenze, feriti, morti.

Si stima che le armi piccole e leggere in circolazione nel mondo ammontino attualmente a circa 875 milioni di unità delle quali il 75% circa (650 milioni) sono detenute da civili. Si stima inoltre che ogni anno siano circa 526.000 le persone uccise da queste armi, di cui circa l’80% perde la vita al di fuori di scenari di conflitti armati (per omicidi, suicidi, esecuzioni extragiudiziali, violenza di genere, sparizioni forzate, rapimenti). A questo numero va poi aggiunto quello dei feriti e delle vittime delle conseguenze indirette della violenza armata: fame, mancanza di cure sanitarie ecc..

Il mercato globale di queste armi raggiunge valori annuali di 361 miliardi di dollari, cui vanno aggiunti i proventi, incalcolabili, del florido commercio illegale. Il Consorzio dell’Ue per la non-proliferazione e il Servizio europeo per l’azione estera, né dal recente finanziamento al progetto iTrace (un sistema di geolocalizzazione delle armi leggere e di piccolo calibro e delle munizioni convenzionali finalizzato alla riduzione del rischio del loro commercio illegale)».

Questo contributo restituisce un’istantanea della complessità della violenza nel mondo. Nonostante il problema oggettivo di monitorare un fenomeno i cui dati sono parziali o nascosti, il tentativo è di rendere disponibile ciò che è noto sui conflitti nel mondo, sul mercato delle armi e sul ruolo dell’Italia. Dati che mettono in evidenza fatti che vorremo non sapere e con cui non pensiamo di avere a che fare, ma leggendo con attenzione i conti in banca, tra i propri titoli e azioni ognuno si troverà dentro questa storia che non sembra mai passare.

Quando si parla di armi i volti si contraggono, chiudono, come per timore. Non volti, ma espressioni. Un ispessimento della membrana che separa il mondo dal sé interiore. Un’evoluzione a ritroso. Le immagini provocano una trasmutazione genetica: gli occhi si chiudono, le palpebre sono squame che ricoprono ogni sussulto interiore. «Si profila», diceva Conrad, «innanzi a noi, una linea d’ombra, ad avvertirci che bisogna dire addio anche al paese della gioventù…». L’addio al cambiamento e il prevalere della rassegnazione di fronte a qualcosa più grande di noi racconta l’impatto emotivo di fronte al mercato delle armi. Un primo elemento che caratterizza la spesa militare è l’assenza di democrazia: più la spesa è alta più il paese è autocratico (salvo alcune eccezioni). Un secondo aspetto rilevante del funzionamento del mercato mondiale delle armi è la dimensione economico-finanziaria: senza un sostegno da parte degli istituti di credito lo scambio di questo tipo di merci non potrebbe avvenire.

La violenza è in ognuno e in tutti, ma il sistema delle armi trasforma questa violenza in distruzione. Quello della violenza è forse l’unico tabù necessario, ma mai tanto disatteso perché è in ognuno e in tutti. E se le società sono state in grado di difendersi dall’autodistruzione attraverso il tabù dell’incesto e del cannibalismo non sono riuscite a far altrettanto per la violenza tra gruppi, Stati e individui, per gli antropologi e per l’umanità c’è ancora tanta strada da fare.


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