Non profit

OGM. Le Regioni dicono sì, Aiab preoccupata

Il comunicato dell'associazione, condiviso anche da SlowFood

di Gabriella Meroni

La Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali di adozione dei protocolli tecnici per la gestione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, ai fini dell’emissione deliberata nell’ambiente di specie modificate a scopi sperimentali. I protocolli riguardano le seguenti specie: Actinidia (kiwi), Agrumi, Ciliegio dolce, Fragola, Mais, Melanzana, Olivo, Pomodoro e Vite.

L’Associazione Italiana Agricoltura Biologica condivide con SlowFood la preoccupazione per la recente approvazione dei protocolli, e dopo averne presa visione, scrive Aiab, «l’impressione è che la stesura non tenga in debita considerazione i rischi conseguenti all’emissione deliberata di specie ogm nell’ambiente». Per quanto riguarda la colture arboree (Ciliegio dolce e Olivo, ad esempio) i protocolli non danno adeguate informazioni sulla gestione delle conseguenze dell’azione dei pronubi (insetti impollinatori) e della fauna (non meglio identificata nei protocolli stessi) da cui queste piante verrebbero protette. La protezione dovrebbe avvenire nel periodo della fruttificazione con reti antiuccello, mentre per quanto riguarda i pronubi si dice che essi, insieme al vento, sono i due fattori da considerare per la definizione dei requisiti delle aree.

Secondo l’Aiab, il documento non chiarisce a fondo questo punto: significa che bisogna scegliere aree rurali prive di insetti? Inoltre, non vengono descritti i geni che saranno inseriti nelle nuove colture né i fini della sperimentazione stessa (farmacologici o agroalimentari?). In una situazione sperimentale in cui non è possibile prevedere l’azione di geni immessi nell’ambiente per la prima volta, non si può ragionare in termini di soglie di sicurezza: secondo Aiab, la tolleranza deve essere lo zero assoluto o sarà impossibile gestire in modo responsabile «questa deliberata immissione di nuovi geni nell’ambiente». Mancano inoltre, conclude l’associazione, i profili di responsabilità per casi di «gene escape», il che rendere quasi impossibile la corretta gestione di sopravvenute problematiche.


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