Volontariato
Ogm: interviene l’Onu
La posizione della Commissione del Codex alimentarius, tavolo congiunto composto da rappresentanti della Fao e dell'Oms
Nessuna chiusura categorica e nessuna apertura indiscriminata nei confronti degli alimenti di origine transgenica, ma valutazioni ad hoc sulla sicurezza dei singoli prodotti, prima di autorizzarne l’immissione in commercio. In questa comune direzione muovono l’Unione europea, che l’altro ieri ha approvato le norme sull’etichettatura e la rintracciabilità degli organismi geneticamente modificati(Ogm) negli alimenti e nei mangimi e la Commissione del Codex alimentarius, la commissione congiunta dell’organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dell’Organizzazione mondiale della sanità, il più alto organismo deputato a stabilire gli standard internazionali sulla sicurezza alimentare.
Nella riunione che si è tenuta a Roma dal 30 giugno al 7 luglio scorso, la Commissione del Codex ha raggiunto un accordo sulle procedure necessarie per valutare la sicurezza dei cibi derivati da piante transgeniche, come il mais, la soia e le patate, e di quelli derivati da microrganismi geneticamente modificati, come il formaggio, lo yoghurt e la birra. «Non abbiamo preso in considerazione prodotti specifici – spiega Alan Randell, segretario della Commissione – ma abbiamo elaborato una procedura che tutti i Paesi membri del Codex potranno adottare come punto di riferimento per la valutazione della sicurezza alimentare degli Ogm. L’uniformità dei criteri di valutazione farà sì che ogni Paese interessato a mettere in commercio un dato prodotto non debba ripetere le analisi, ma possa basarsi su quelle già effettuate da un altro Paese membro».
Il documento approvato dai commissari del Codex non è esente da critiche da parte di organizzazioni ambientaliste e associazioni per la tutela dei consumatori. La procedura si basa sul discusso principio della cosiddetta sostanziale equivalenza: se le proteine di origine transgenica contenute in un dato prodotto geneticamente modificato sono “strettamente affini” a quelle contenute nel corrispondente alimento ottenuto con tecniche convenzionali, non c’è necessità di sottoporre tali proteine a esami tossicologici.
Preoccupazione è stata espressa anche da alcuni delegati per la genericità del termine “strettamente affini”. Le analisi. Per le proteine frutto dell’espressione dei geni ricombinanti, giudicate invece dissimili da quelle contenute negli alimenti tradizionali, sono previste analisi tossicologiche e, in alcune circostanze, prove di laboratorio su animali, analoghe a quelle che servono a valutare un nuovo additivo alimentare. Il documento del Codex stabilisce inoltre che non debbano essere impiegati, nella manipolazione di organismi destinati al consumo alimentare, geni che conferiscono resistenza agli antibiotici di uso clinico. In passato, questa norma riguardava solo i prodotti alimentari di ampia diffusione. Ora è stata modificata e si applica a qualunque alimento.
Per quanto riguarda la potenziale allergenicità dei cibi di origine transgenica, il documento del Codex raccomanda di non trasferire Dna proveniente dai più comuni alimenti allergenici (noccioline, noci, soia, latte, uova, crostacei e frumento), salvo i casi in cui è dimostrato che le proteine espresse dai geni trasferiti non sono coinvolte nelle reazioni allergiche. Tutte le nuove proteine presenti nei prodotti di origine transgenica dovranno essere, in ogni caso, esaminate per individuare potenziali allergeni. Gran parte delle procedure elaborate per valutare la sicurezza degli alimenti derivati da piante geneticamente modificate si applica anche ai prodotti ottenuti dall’impiego di microrganismi transgenici: cibi e bevande frutto di fermentazione. Questi, però, richiedono dei controlli aggiuntivi perché spesso contengono microrganismi vivi, che possono interagire in modo complesso con la flora batterica dell’apparato digerente umano.
Le analisi, in tal caso, riguarderanno non solo le proteine espresse dai geni trasferiti, ma anche i sottoprodotti del metabolismo dei microrganismi, la stabilità del loro Dna nelle generazioni successive a quelle modificate e la loro capacità di scambiare materiale genetico con i batteri endogeni gastroenterici. L’etichetta .
Ma se i commissari del Codex alimentarius si sono trovati d’accordo nell’approvare le procedure per la valutazione della sicurezza degli alimenti Gm, non hanno raggiunto una posizione comune sul tema dell’etichettatura, raggiunta invece dai ministri dell’Agricoltura della Ue che hanno approvato una norma che prevede che l’etichetta indichi gli alimenti e i mangimi contenenti Ogm e la rintracciabilità di questi dal campo alla tavola. «Abbiamo convenuto sulla necessità di tracciare gli alimenti transgenici nei prodotti in commercio, per essere in grado di ritirarli prontamente dal mercato nel caso si verificassero effetti indesiderati sulla popolazione – spiega Alan Randell – ma molti di noi sostengono che, in assenza di rischi per la salute, l’etichetta del prodotto non debba necessariamente indicare l’origine transgenica. C’è il rischio che, in nome del diritto all’informazione del consumatore, alle industrie vengano richieste procedure talmente costose da spingerle a eliminare il prodotto dal mercato».
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