Famiglia

Ogm: il direttore dell’Isnp Sequi “occorre cautela”

Lo ha detto il direttore dell'Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante (Isnp), Paolo Sequi. Lo studio è cominciato nel gennaio 2002

di Redazione

“Chi fa ricerche innovative deve avere cura dei pericoli che ci possono essere nel corso dei lavori. Non è una contestazione alle innovazioni. Condivido che gli Ogm siano una novità piena di promesse ma che occorra cautela è scontato per chi lavora nella ricerca”. Lo ha detto il direttore dell’Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante (Isnp), Paolo Sequi, interpellato dall’ Ansa in merito al progetto “Metodi innovativi per la tracciabilità di Ogm per la tutela della biosicurezza e della sicurezza alimentare (Misa), del quale il ministro delle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, ha accennato, nel corso di un incontro promosso dai Verdi, per evidenziare i possibili effetti delle colture Ogm. Lo studio è cominciato nel gennaio 2002 e può contare su poco più di un milione di euro in 3 anni ed è risultato fra quelli vincitori del bando Mipaf del 4 gennaio 2001. Nell’illustrare i primi risultati dello studio, lo scorso giugno alla Commissione Agricoltura del Senato, il direttore dell’Isnp, Sequi, aveva riferito che “solo di recente gli studi in atto hanno cominciato a fornire alcuni risultati di un certo interesse, dimostrando che il Dna prodotto dalle radici di piante sottoposte a procedimenti di modificazione genetica può essere assorbito dall’argilla contenuta nel suolo e mantenersi integro per un tempo indefinito”. Ciò, aveva aggiunto Sequi, “permettendo ad una pianta geneticamente modificata di lasciare traccia di sé e di influenzare il patrimonio genetico delle piante successive”. Da parte sua, la coordinatrice del progetto, Anna Benedetti, aveva rilevato che “gli organismi geneticamente modificati sembrano rilasciare quantità molto forti di Dna e che la cancellazione delle tracce di questi organismi risulta difficilmente praticabile in quanto l’ incenerimento non è in grado di eliminare le radici”. Inoltre Benedetti aveva sottolineato, sempre sulla base dei primi risultati ottenuti dallo studio, la necessità di “una estrema cautela nell’immissione su larga scala delle colture geneticamente modificate, in quanto non vi sono ancora esperimenti di lungo termine che possano descrivere gli effetti di tali colture sul suolo”. Secondo Benedetti, per quanto riguarda il problema della contaminazione, “anche il mais non transgenico può essere modificato dal precedente rilascio di Dna di piante Ogm”.


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