Non profit

Ogm e neocolonialismo, le condanne di Benedetto XVI

Un bilancio "sociale" delle giornate in Angola e Camerun

di Padre Giulio Albanese

«Non arrendersi alla legge del più forte»: è stato il filo conduttore dei discorsi africani. Il riferimento era alle nuove potenze,
Cina e multinazionali,
che per difendere i loro interessi ampliano la forbice tra ricchi e poveri
Benedetto XVI ha davvero fatto breccia nel cuore della gente durante il suo primo viaggio in terra africana, dimostrando che il “mistero cristiano” esige la congiunzione tra la “spiritualità cristiana” e la “vita reale” dei popoli. È bastato ascoltare alcuni passaggi del suo intervento all’aeroporto di Luanda, nel corso della cerimonia di benvenuto in terra angolana, per comprendere l’ampiezza di un messaggio capace di generare un approccio integrale alle grandi questioni che assillano l’umanità disseminata nei bassifondi della storia. Senza timore e con tono deciso, ha chiesto al popolo angolano e in primis alla sua classe dirigente di «non arrendersi alla legge del più forte», non svendendo cioè «la propria dignità».
A detta degli osservatori, senza fare nomi, si è trattato di un inequivocabile e coraggioso riferimento al neocolonialismo cinese e di altre potenze che sta ampliando la forbice tra ricchi e poveri, acuendo le angherie sociali. Insomma, a differenza di certe cancellerie che guardano solo e unicamente alla salvaguardia dei propri interessi “geo-strategici”, papa Ratzinger ha richiamato i fondamentali del suo magistero, affermando che le ingiustizie perpetrate in Africa sono inaccettabili perché «Dio ha concesso agli esseri umani di volare, al di sopra delle loro tendenze naturali, con le ali della ragione e della fede».
La Chiesa africana ha comunque i numeri per farcela e la conferma è venuta nella capitale camerunense, Yaoundé, dove Benedetto XVI ha consegnato ufficialmente all’episcopato di questo grande continente l’Instrumentum Laboris, le linee guida in vista del Sinodo dei vescovi africani che si svolgerà a Roma il prossimo ottobre. L’Instrumentum Laboris concentra l’attenzione sulle questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace, nella triplice dimensione “socio-politica” e “socio-culturale” e nell’esperienza “ecclesiale”.
In questa prospettiva i problemi che vengono sottoposti ai padri sinodali nel nuovo documento interpellano la Chiesa africana: dalle situazioni di aperta conflittualità ai disastri impressi da una globalizzazione selvaggia; dalle irrisolte questioni sociali all’assunzione del diritto di cittadinanza, dalla disgregazione delle culture autoctone all’impegno d’inculturare fino in fondo il messaggio cristiano. Il fatto stesso che l’Instrumentum Laboris denunci l’uso iniquo nell’agricoltura degli ogm rispetto a una generale mercificazione dei beni di prima necessità come il cibo da parte delle multinazionali, la dice lunga. Emerge pertanto l’esigenza di coniugare il dettato evangelico con l’impegno personale e comunitario per essere, fino in fondo, “sale della terra” e “luce del mondo” (cfr. Mt. 5, 13-14). I nodi da sciogliere sono molti.
Viene ad esempio alla mente la provocazione del teologo Gerard Eschbach il quale, già nei decenni scorsi, scriveva che il pensiero cristiano non può esistere accanto ad una cultura, ma deve sfidarla, provocarla. A questo proposito stigmatizzava il fatto che l’Africa è stata permeabile e disponibile non solamente alla fede cristiana, ma anche alla sua “incarnazione occidentale”. Una cosa è certa: gli africani amano ascoltare la saggezza degli anziani, sentir raccontare le origini dei loro popoli, tendendo però a immaginare il passato come un modello fuori dal tempo e valido per tutte le stagioni. Ma l’attuale congiuntura mondiale, fatta di crisi dei mercati e altre congerie di guai, esige un’attualizzazione del Vangelo attraverso l’ascolto, il dialogo e il discernimento.
Nel complesso è possibile dire che Benedetto XVI è riuscito a confermare nella fede la Chiesa africana, promuovendo lo spirito della cattolicità intesa proprio come “globalizzazione perspicace” di Dio. Affermando cioè quell’unità dei popoli che, specialmente in Africa, rappresenta l’unico antidoto contro la dissoluzione sociale e ogni forma di divisione.
In questo continente, è bene rammentarlo, vi sono 900 etnie, con tradizioni e culture ancestrali che, sia nel corso dell’epoca coloniale come anche in tempi recenti, hanno sperimentato numerose vicissitudini, anche in aperta conflittualità. Ecco perché occorre vivere la missione, come ha detto il Papa, «andando in tutto il mondo insieme a predicare il Vangelo ad ogni creatura» (cfr Mc, 16,15). Solo così sarà possibile realizzare quel sogno di pace, giustizia e riconciliazione che le Chiese africane non vogliono disattendere.

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