Volontariato

Oggi mi sento diversamente pisano

di Giulio Sensi

Trangugio con curiosità morbosa il post di Franco Bomprezzi che legge in chiave “originaria” la –fortunata mediaticamente– frase di Angelino Alfano di cui si parla da ieri. La frase, secondo l’acuta intuizione di Bomprezzi, dimostra una consapevolezza: quella di avere un “handicap”, giocando su quella maledizione che ha portato il “diversamente abile” ad assumere un significato discriminante, contrario alle volontà originarie, perché racconta di abilità di secondo piano.

È tutt’altro che un gioco lessicale, un vezzo di chi dà troppo peso alla parola in una società fatta di immagine. È una sfida culturale con molta sostanza. È come quello che mangiamo, influisce sulla nostra vita. E allora penso ai tanti steccati, anche quelli folkloristici, che le nostre società si danno, ai tanti pregiudizi nati e cresciuti chissà dove. Ai goffi convincimenti che negano le dignità altrui. Penso ai mezzi di informazione, così tanto bravi a sollevare polveroni su questioni cruciali per poi lasciare spazio alla nebbia fitta.

Penso al peso delle parole. Un’omonimia ieri ad esempio ha fatto risorgere un grande calciatore dimenticato. Rui Costa è il nome del ciclista che ha alzato le braccia all’arrivo dei mondiali di ciclismo che si sono chiusi ieri in Toscana, proprio a Firenze, proprio nella città che vide le gesta dell’omonimo trequartista della Fiorentina che di colpo hanno tutti ricordato. Un fuoriclasse che contribuì ad una stagione d’oro della Viola, passando poi al Milan dove non fece brutte figure, ma diventò, forse, uno come gli altri, una vagonata di miliardi da usare. A Firenze, in un contesto più piccolo, era invece una bandiera. Mi ci ha fatto pensare l’omonimia. Così, tanto per dire.

Rui Costa, il ciclista, ieri è partito da Lucca. Lo start era sulle antiche mura che chiudevano e chiudono la città. Chissà se andava troppo veloce, se la pioggia battente gli rovinava la vista. Chissà se ha visto quella scritta sull’asfalto che campeggiava in un tratto del tracciato: recitava “Pisa merda”, un tratto distintivo che unisce vai territori in un sentimento di disprezzo per il vicino molto comune in Toscana. Patrimonio, si fa per dire, più di tifoserie di calcio che dei comuni mortali. Ma che è presente e grava, senza fare ormai troppo male in verità, su una definizione di cittadinanza un po’ inferiore rispetto alla tua. Così come il “Lucca merda” che si legge a Pisa. Quelle scritte raccontano di un senso di superiorità che i caratteri della Toscana vantano rispetto ai propri vicini, eredità storiche entrate forse nel DNA. Non sono molto diverse nella sostanza da quelle razziste.

Grandi autori hanno scritto e commentato gli antichi campanilismi toscani e io non so aggiungere nulla. Io non sono nessuno, poi sono anche lucchese, ma quella scritta sull’asfalto in mondo visione macchia comunque i pisani di una diversa cittadinanza.

Roba da poco direte, cosa sto a scrivere stamani. Forse sto delirando, ma l’uso della parola mi affascina. E così mi sento anch’io diversamente pisano. Così magari inizio a fare i conti con i geni discriminatori dei campanilismi storici che ho nel DNA così come Alfano dovrebbe fare i conti con la sua “berlusconità”.

Fateci i conti anche voi: vi accorgerete quante diversità, e relativi peccati originari, appiccicate addosso a chi vive diversamente da voi.

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