Volontariato

Oggi il saluto di Tettamanzi

Il pensiero sociale del cardinale uscente nell'intervista che ha concesso a Vita

di Redazione

Oggi il Cardinal Tettamanzi lascia la diocesi di Milano. Nella foto, scattata due giorni fa, lo vediamo con un gruppo di volontari della cooperativa Oltre. Qui riproponiamo l’intervista concessa a Vita a marzo scorso, a bilancio dell’operazione Fondo Famiglia Lavoro: un’idea solidale che ha riscosso un successo straordinario con una raccolta di quasi 11 milioni di euro da destinare alle famiglie messe in difficoltà dalla crisi.

Come si spiega il seguito che ha avuto quella intuizione lungimirante (anche nei tempi oltre che nei modi)? 

Dionigi Tettamanzi.: Posso dire in tutta sincerità che quando ho posto a me stesso e ho poi condiviso con l’intera comunità ecclesiale di Milano la duplice domanda “cosa posso fare io?” e “cosa possiamo fare insieme” per rispondere da cristiani alla crisi che da qualche mese stava iniziando a mostrare i suoi effetti sempre più pesanti, non mi aspettavo un simile coinvolgimento da parte di così tanti soggetti, persone ed enti. Non lo dico soltanto sulla base dei dati statistici, pure significativi di per se stessi, ma perché ho potuto constatare come la luce che il Signore ha acceso in me in quella Notte del Natale 2008 abbia influenzato positivamente molti. E’ infatti per me sempre motivo di grande meraviglia rilevare come parrocchie, decanati, comunità anche molto diversificate e geograficamente distanti tra loro abbiano saputo sviluppare una attenzione ed una creatività che a sua volta è divenuto di incentivo per altre iniziative locali. Spesso nascoste, ma non agli occhi del Signore e degli “uomini di buona volontà”, che continuano a non arrendersi al male, personale o sociale che sia, ma a credere e sperare con tutto loro stessi, con energia, fiducia e costanza.

Le fragilità troppo spesso non hanno volto e racconto, non hanno rappresentanza neppure da chi dovrebbe essere votato a tale scopo. La Chiesa sente suo questo compito del dare voce a chi è lasciato nell’ombra di una montagna di bisogni senza risposta?

Tettamanzi: La Chiesa di Milano ha sentito e sente tuttora come suo compito “partire dagli ultimi” perché a questo la chiama nientemeno che il vangelo di Gesù. Ciò che stupisce, a partire dai racconti degli operatori dei distretti del Fondo Famiglia Lavoro, impegnati anzitutto nell’ascolto delle situazioni più diverse e spesso drammatiche, è proprio questo mondo sommerso costituito da povertà vecchie e nuove, economiche o derivanti da disagio sociale, che ci rivelano un intero mondo “sommerso” che non ha voce e soprattutto non trova facilmente ascolto. Ciò che mi colpisce maggiormente, oltre al fatto che da un giorno all’altro una famiglia possa passare da una situazione di relativa stabilità economica ad una di estremo bisogno, è il fatto che molti, non avendo perso il lavoro o comunque trovandosi in una condizione agiata, sicura, faticano a comprendere le difficili condizioni degli altri. Mi fa male, come vescovo, sentire persone che affermano con tranquillità, contando sul consenso scontato di chi le ascolta: “ma dov’è la crisi? Guarda le strade come sono affollate, i supermercati che traboccano di persone…” senza rendersi conto di quanti non sono in quella condizione, come pure del fatto che i consumi anche per prodotti di prima necessità stanno diminuendo sempre di più, che i risparmi delle famiglie si stanno assottigliando. L’intervento della Chiesa a sostegno di chi ha perso il lavoro non rappresenta poi se non una “goccia” nel vasto mare delle necessità che solo chi ha responsabilità civili, o in ambito politico ed economico può e soprattutto deve affrontare, con mezzi e in tempi adeguati. Offrire lavoro, pur con le gravi difficoltà in cui si dibatte il mercato, è oggi condizione di vita, di dignità personale e familiare, per molti. La “questione lavoro” dovrebbe a mio avviso essere messa ai primi posti dell’ordine del giorno di tutti quanti hanno responsabilità pubbliche o di impresa.

Nella Caritas in veritate Benedetto XVI ha indicato le strade di un’economia capace di guardare al benessere di tutti, eppure quell’enciclica pare essere già stata dimenticata e le strutture economiche, come quelle politiche sembrano essere ancora sorde al cambiamento necessario .

Tettamanzi.: Come giustamente viene ricordato, nella sua prima enciclica sociale Caritas in veritate il Santo Padre non si limita ad una trattazione in linea generale del tema dello sviluppo integrale degli uomini e dei popoli, ma rilegge puntualmente l’attuale situazione sul versante degli effetti personali e sociali della crisi e delinea le prospettive di rinnovamento, in chiave di eticità, di una economia rinnovata. Rinvio per questo a due passi dell’enciclica di particolare rilievo. Il primo – mi riferisco al n. 25 – tratta degli effetti negativi sul piano personale, familiare, e persino psicologico e spirituale derivante da una prolungata precarietà lavorativa. Il secondo si riferisce invece al paragrafo 38 in cui il Papa auspica l’inserimento, all’interno delle forme dell’economia di mercato, della logica rinnovatrice della gratuità, della fraternità e della promozione della dignità personale di tutti i soggetti dell’impresa in quanto fattori innovativi e favorevoli per la stessa vita dell’azienda, così che che questi valori non rimangano confinati soltanto nell’ambito del non profit ma portino ad una vera e propria “civilizzazione dell’economia”.

 

Il presidente di Fondazione Cariplo, in un commento all’esperienza del FFL, scrive: “Abbiamo l’esigenza di trasformare quello che lo shock ha prodotto come risultato: un’esperienza dell’emergenza che deve diventare una presenza nella normalità”. Pensa che l’esperienza del FFL possa diventare esperienza di normalità? E perché questo accada di cosa ha bisogno?

Tettamanzi.: Il Fondo Famiglia Lavoro, è sorto come esperienza temporanea in occasione dell’aprirsi della crisi e proseguita a causa del suo perdurare, ma è bene che, ad un certo punto, termini. Ma, come giustamente afferma il Presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti, proprio perché il Fondo ha inteso innescare una serie di attenzioni, modalità relazionali, stili di vita rinnovati, che vanno ben oltre il pur necessario contributo economico dato a chi è nel bisogno, è altrettanto necessario che questo “patrimonio” di valori, di conoscenze e di esperienze non vada disperso, anzi, si incrementi, prenda la forma di iniziative nuove di attenzione alle povertà e ai bisogni sempre nuovi che sorgono sul nostro territorio, diventi stile di vita anzitutto delle nostre comunità. Fin dagli inizi infatti ho voluto ricordare che il Fondo aveva una chiara valenza educativa, e proprio una approfondita formazione alla sobrietà e alla solidarietà è quanto a mio avviso occorre maggiormente alle persone, alle famiglie e a tutti i soggetti sociali, unito naturalmente ad un saggio discernimento circa l’evolvere dei tempi e delle situazioni.

 

Cosa più l’ha sorpresa nel cammino di questi due anni e quali le fatiche?

Mi ha sorpreso anzitutto l’aspetto corale, partecipato della risposta all’appello che avevo lanciato inaugurando il Fondo. Le migliaia di offerte di privati, le centinaia di parrocchie che si sono attivate, le ingenti somme devolute da alcuni Enti, mi hanno stupito non tanto per la loro rilevanza, ma per la gratuità che hanno manifestato: non c’era un particolare ritorno di immagine nel contribuire al Fondo! L’espressione quindi di una comunità solidale, spesso nascosta ma vivace, attiva e attenta, che non aspetta il domani o che altri agiscano per intervenire. Mi ha sorpreso poi l’attivarsi di centinaia di operatori dei distretti del Fondo: oltre quattrocento persone che hanno saputo dedicare con passione e competenza tempo all’ascolto delle numerose famiglie che chiedevano accoglienza e comprensione, prima ancora che un contributo. Sono entrambi aspetti che danno speranza per il futuro: la prontezza e la coralità della risposta al bisogno altrui e la capacità di trasformarlo non in risposta emotiva, superficiale e di breve durata, ma in proposta rinnovata di una con-cittadinanza nuova, in cui nessuno è ignoto o indifferente all’altro .


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