Cultura

Odio la Juve! Storia sociale del sentimento anti juventino

La storia sociale del calcio è una cartina di tornasole del nostro Paese. A partire dal sempre più diffuso rancore nei confronti della seconda squadra di Torino. Un libro fa il punto

di Francesco Paolella

La Juventus è la squadra id calcio che ha più tifosi in Italia – circa il 25% del totale: è un tifo, quello per la Juventus, davvero nazionalpopolare, diffuso in tutta Italia, da nord a sud. Ma, allo stesso tempo, la Juventus è anche la squadra di calcio più odiata d’Italia e, in questo senso, l’antipatia per la Juventus è davvero maggioritaria fra i tifosi. Anche a chi non segue il calcio con passione, viene subito agli occhi l’evidenza di questa antipatia, la quale ha molte e complesse ragioni.

Il libro collettivo Odio la Juve (Meltemi, Milano 2018) con un piglio ben più serio di quanto ci si potrebbe aspettare prendendolo in mano per la prima volta, ci fa conoscere le cause di questo sentimento multiforme, complesso e non banale che è l’antijuventinità.

La Juventus, la società che la gestisce (cioè la famiglia Agnelli) e i suoi tifosi, sono divenuti, soprattutto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, l’obiettivo di critiche sempre più forti da parte di sempre più appassionati di calcio: lo “stile Juventus” è diventato l’essenza stessa di un cattivo modo di giocare al calcio e, soprattutto, di “vincere”.

Questa è una prima accusa, forse la più grave: la Juventus vince troppo, e non sempre (anzi: quasi mai) con merito o grazie soltanto ai propri meriti sportivi. Ogni generazioni di tifosi italiani ha i propri esempi (negativi) di disonestà e prevaricazione da parte dei dirigenti juventini. La furbizia dei dirigenti, i favori regolarmente ricevuti dagli arbitri, tutto ha contribuito a costruire questo anti-mito, facendo della “Rubentus” il simbolo della antisportività.

Ma non c’è solo questo.

Il tifo per la Juventus è trasversale e massivo, si diceva: non è insomma collegato a una città, a un particolare territorio. E questo dà molto fastidio. La Juventus si è ormai proiettata (grazie ai milioni della FIAT) in una dimensione extra-territoriale, senza mantenere alcun legame vero con la città dove è nata (come, del resto, la stessa FIAT oramai). È interessante vedere – come ci insegnano studiosi importanti, come lo storico Giovanni De Luna ad esempio – la storia dei rapporti fra la Juventus, i suoi tifosi e la città di Torino. In epoche diverse e in modi diversi, Juventus e Torino (intesa come squadra) hanno rappresentato le due anime della città: quella operaia (Torino) contro quella borghese (Juventus), e poi quella meridionale, degli immigrati (Juve) contro quella dei torinesi (Torino). Oggi, senza dubbio, tifare per il Torino rappresenta una scelta a suo modo anticonformista, in un contesto in cui ogni punto di riferimento riferimento (politico, economico, sociale) si è smarrito.

La storia del calcio è più che mai la storia sociale dell’Italia. Dunque, la Juventus (tifata – questa l’accusa più cattiva – da tanti solo appunto perché vincente) rappresenterebbe (o avrebbe rappresentato fino a poco fa) il potere italiano nella sua essenza più pura. Non a caso per nessuna altra squadra c’è stato un culto della proprietà come nel caso della Juventus. Questo libro è dunque una specie di processo (con tanto di avvocato difensore) contro uno dei simboli del potere italiano, sempre controverso e di cui sempre ci sono molte ragioni perché sia disprezzato.

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