Politica
Occidente sotto accusa: non vuole le missioni di pace
L'Istituto di studi strategici (Iss) con sede a Londra nella propria relazione annuale rileva come i Paesi ricchi siano riluttanti a inviare soldati nelle zone calde
I Paesi occidentali hanno si sono dimostrati riluttanti ad assumere un ruolo in una serie di missioni di pace: l’accusa parte dall’Istituto di studi strategici (Iss) con sede a Londra che ha presentato una propria relazione annuale riguardante lo stato delle missioni di pace nel mondo.
In generale (riporta la Cnn) è stata rilevata una resistenza a intervenire in zone al di fuori della propria sfera di interessi e l’Iss mette in dubbio l’effettiva capacità delle Nazioni unite di agire in Paesi come la Sierra Leone, uno degli Stati dove l’anno scorso si maggiormente manifestata l’impossibilità d’azione dei caschi blu, con centinaia di uomini sequestrati e presi in ostaggio dalle organizzazioni ribelli. I soldati furono poi rilasciati dopo alcune settimane grazie all’intervento di altri governi dell’Africa occidentale accusati di avere rapporti privilegiati con i ribelli. L’Iss afferma anche che spesso le forze di pace hanno dimostrato di essere prive di una volontà politica adeguata a trovare uno scopo comune nelle azioni in cui sono state impegnate.
Secondo l’istituto londinese le operazioni di pace hanno dimostrato di essere più efficaci quando sono state condotte da un solo Paese con interessi specifici nella zona. Viene per esempio indicato l’esempio della Gran Bretagna, intervenuta appunto in Sierra Leone dopo il fallimento dei caschi blu. Le truppe britanniche sono riuscite a stabilizzare la situazione e si sono impegnate in corsi di addestramento dell’esercito regolare sierraleonese. C’è anche un punto economico nella crisi delle missioni di pace. I Paesi che vi si impegnano devono essere pronti ad assumersi un carico di spese notevoli, come per esempio è stato per l’Australia a Timor est. Secondo l’Iss, gli Stati Uniti non si ritireranno dai Balcani perché la stabilità della regione fa parte degli interessi americani in Europa. Ma è prevedibile che Washington si mostrerà più lenta nell’intervenire in altre aree, come per esempio l’Africa a Sud del Sahara.
“L’approccio preferito da Washington sarà quello di favorire una regionalizzazione degli interventi di pace in determinate zone con programmi di addestramento e fornitura di equipaggiamenti”, si legge nel rapporto. Cambierà anche l’impegno delle Nazioni Unite, afferma il rapporto: “E’ probabile che l’Onu adotti una approccio circoscritto a funzionari politici e agenzie di aiuto umanitario piuttosto che inviare una forza militare”. Alla base delle critiche mosse dall’Istituto c’è la considerazione che “le recenti esperienze di peacekeeping rivelano l’assenza – e il bisogno – di un pensiero strategico, di un impegno duraturo e di una unità di approccio tra quanti partecipano a una operazione”.
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