Sostenibilità

Occhio agli ecofurbi

Non è tutto oro quel che luccica...

di Emanuela Citterio

Non avremmo mai immaginato che delle bestiacce così ci avrebbero portato dei soldi… adesso ci permettono di andare a scuola».
Così si è espresso un contadino dell?Uganda riferendosi al forte incremento di visitatori nella vicina riserva di Budongo Forest, richiamati dalla presenza dei gorilla di montagna. Una attività che costa a ogni turista 250 dollari e che alla fine degli anni 90 garantiva il 70% delle entrate a un sistema di aree protette in via di sviluppo nella nazione africana. Un flash per capire cosa può fare l?ecoturismo. Un?attività che, secondo una definizione oramai accettata a livello internazionale «rappresenta un viaggio responsabile nelle aree naturali, che conserva l?ambiente e assicura benessere alla popolazione locale».

Elefanti, miniere d?oro
Dati alla mano, per l?ecoturismo un leone del parco nazionale dell?Amboseli, in Kenya, vale in termini di ricadute turistiche 27mila dollari anno, un branco di elefanti 610mila dollari, uno squalo grigio della barriera corallina delle Maldive 3.300 dollari, mentre per osservare balene e delfini ogni anno 9 milioni di turisti spendono un miliardo di dollari. Numeri sventolati nel passato e nel presente per cercare di convincere governi a e comunità locali ad abbracciare le politiche di conservazione ambientale. Numeri che però rischiano di perdere qualsiasi significato se nelle attività turistiche si escludono le popolazioni locali. «Diverse ricerche hanno dimostrato che, escludendo le comunità dalla gestione delle aree naturali dove queste traggono il loro cibo, allevano il bestiame e raccolgono la legna, è più facile che queste sviluppino forme di rifiuto e comportamenti che finiscono per compromettere gli obiettivi della conservazione», afferma Lisa Mastny, ricercatrice del World Watch Institute nell?ultimo State of the World, la bibbia mondiale degli ambientalisti.
Un?affermazione di un pescatore delle isole Galapagos, il tempio mondiale dell?ecoturismo, imbestialito per le limitazioni in atto nelle isole, è illuminante per comprendere quanto dice la Mastny: «Se il governo non ripristina la possibilità di pescare, daremo fuoco a queste aree protette per farla finita con questa follia del turismo» .
Coinvolgere popolazioni, valorizzare territori, salvaguardare la biodiversità, ottenere maggiori benefici economici per i locali presuppone però che i turisti si spostino, visitino le aree protette, siano presenti in un numero sempre più crescente. E così, entrando sempre più nel circuito internazionale, l?ecoturismo rischia di provocare gli stessi inconvenienti del turismo di massa. Fatto questo ben sottolineato dalla lettera inviata a Kofi Annan dal Twn-Third World Network, formato da diverse ong del Sud del mondo. Twn ha chiesto, senza successo, che il 2002, designato dall?Onu anno dell?ecoturismo, diventasse in realtà l?anno di revisione dell?ecoturismo, per analizzare gli effetti ambientali e sociali, non sempre positivi, di questa attività in diverse parti del mondo.

Povero ambiente
In pratica, sbandierando l? ecoturismo, si sono fatti passare programmi e progetti che hanno in realtà degradato l?ambiente, fatto perdere la diversità biologica e culturale, provocato problemi nelle economie locali, i classici mali del turismo di massa. Gli ecofurbi si annidano quindi anche nell?ecoturismo; è necessario stanarli per evitare che questo prezioso alleato della conservazione, venga demonizzato da chi, invece, avrebbe tutti i diritti di riceverne i benefici.
Roberto Furlani – Wwf Italia

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