Economia

Obiettivo: uscire allo scoperto

Grazie al reinserimento lavorativo e sociale si ottiene il 20% di guarigioni in più rispetto alle sole cure farmacologiche. Di Luca Zanferi

di Redazione

Dalla chiusura degli ultimi manicomi, durante il ministero Bindi, la cooperazione sociale ha sempre svolto un ruolo importante nella diffusione di un approccio extra ospedaliero alla cura della malattia mentale. Grande attenzione è data a pratiche di reinserimento lavorativo e sociale dell?utente che, associate alle consuete metodologie, riescono spesso a curare quasi il 70% dei casi di patologie mentali vicine all?esordio. Il 20% in più, rispetto a quei percorsi clinici che si limitano alle sole cure farmacologiche. Un successo costruito su una continua collaborazione con il sistema sanitario pubblico e, in particolare, con i più di 600 centri diurni sparsi per tutto il territorio nazionale. Strutture, per la metà gestite dalle stesse cooperative di tipo A, che rappresentano il passaggio dalla cura strettamente sanitaria alla riabilitazione dell?utente, fatta di tempo libero, attività a stretto contatto con il territorio e riappropriazione della dimensione abitativa autonoma. Una nuova visione della psichiatria che però in Italia sembra non essersi ancora diffusa, tanto che «nel Documento di indagine approvato al Senato non si fa praticamente riferimento al concetto di riabilitazione sociale. Si parla di strutture, finanziamenti e competenze, ma si trascura il vero cardine del pensiero basagliano: far uscire l?individuo dalle strutture e restituirlo al proprio ambiente», dice Andrea Balbi, direttore del Dsm Asl Roma D e coautore del libro Quale futuro per la legge 180. Eppure il mondo della cooperazione da anni continua a sperimentare nuove metodologie di intervento, spesso facendosi carico di proposte di regolamentazione di una materia che attualmente conosce un vuoto normativo, soprattutto per quanto riguarda le competenze e i reali spazi di azione. Chiaro esempio è il settore delle arti terapie, nuove pratiche che puntano sull?espressione del corpo e sul coinvolgimento del territorio. Il disinteresse normativo sulla materia ha costretto l?Apiart, una delle associazioni professionali riunite nel Comitato per il riconoscimento delle professioni delle arti terapie, ad una battaglia durata sette anni per ottenere l?impegno della Regione Lazio all?approvazione di una legge di regolamentazione. Di Luca Zanferi


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