Mondo

Obama, nucleare addio

La storica seduta del Consiglio di Sicurezza dell'Onu raccontata dai giornali italiani

di Franco Bomprezzi

È ancora Obama, per la prima volta nella storia dei presidenti Usa a presiedere la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a meritarsi il titolo di apertura di molti giornali italiani, grazie all’approvazione all’unanimità della sua mozione contro la proliferazione degli arsenali nucleari. Una risoluzione storica, che però deve fare i conti con una realtà assai meno semplice da governare e controllare.

“Arsenali nucleari, il no dell’Onu”, è il titolo che compare in prima pagina del CORRIERE DELLA SERA, che annuncia il pezzo di Paolo Valentino. «Via libera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alla risoluzione sul disarmo e la non proliferazione nucleare. Il testo, proposto dagli Stati Uniti, è stato approvato all’unanimità. Ad annunciarlo è stato il presidente Usa, Barack Obama. È la prima volta, infatti, che un vertice del Consiglio di sicurezza viene guidato da un presidente degli Stati Uniti da quando è stato costituito, nel 1946. E si è trattato inoltre del quinto meeting del Consiglio di sicurezza riunito a livello di capi di Stato, ed il primo a concentrarsi esclusivamente sulla proliferazione e il disarmo nucleare. «Ho convocato questo (vertice) per poter affrontare al più alto livello una minaccia fondamentale alla sicurezza di tutte le nazioni: la diffusione e l’utilizzo delle armi nucleari», ha detto Obama. E ancora: la risoluzione presentata dagli Usa chiede “ulteriori sforzi nell’ambito del disarmo nucleare” ed esorta tutti i paesi che non hanno ancora firmato il trattato di non proliferazione nucleare del 1970 (Npt) a sottoscriverlo al più presto. La risoluzione chiede inoltre di porre fine alla proliferazione di armi nucleari, e ricorda ai membri dell’Npt di rispettare la promessa di non sviluppare armi atomiche. I cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza — Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia — sono tutti dotati di bombe atomiche». Il CORRIERE poi aggiunge una piccola nota di colore su Berlusconi: «La trasferta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a New York si è chiusa ieri con un piccolo incidente di percorso. Berlusconi è rimasto infatti chiuso in ascensore per qualche minuto nel Waldorf Astoria, l’albergo dove nei giorni dell’Assemblea Generale risiede tra gli altri il presidente americano Barack Obama. Lo ha raccontato lo stesso premier scherzando al termine della riunione degli «Amici del Pakistan democratico» — alla presenza di Obama e di altri leader mondiali».

“L’Onu: mondo senza atomiche”: LA REPUBBLICA dedica molto spazio oltre che il titolone in prima al vertice delle Nazioni Unite e al G20 di Pittsburgh. Le prime due alle scelte contro la recessione, che sta finendo ma non senza problemi. L’occupazione anzitutto. Qualche segnale verso la normalità sta nella decisione di Fed e Bce: scelgono di ridurre alcuni programmi di liquidità, innestando una sorta di marcia indietro nei confronti del mercato. All’ordine del giorno, la regolamentazione dei mercati finanziari e dei bonus ai manager (su cui Draghi, come vicepresidente del Financial Stability Board oggi presenterà una proposta). Ma, ricorda l’Ilo, entro l’anno sono previsti 60 milioni di disoccupati in più nel mondo. Secondo Federico Rampini (“Addio riforme radicali solo aggiustamenti nell’agenda dei Grandi”), lo slancio veramente riformatore sarebbe andato diluendosi man mano che migliorava la situazione economica. Sono rimasti in agenda alcuni temi che l’inviato ricapitola: l’ambiente (ribadire gli obiettivi fissati a L’Aquila: meno 80% le emissioni dei paesi ricchi entro il 205, meno 30% in quelli emergenti); capitalizzazione delle banche; bonus subordinati ai veri risultati; riduzione del deficit; exit strategy rispetto alle iniziative prese per fronteggiare la recessione; occupazione; paradisi fiscali; regole finanziarie (nessuno però parla più di una nuova Bretton Woods: «il panico è passato, i poteri forti della finanza sono ringalluzziti e fanno ostruzionismo»).  A pagina 6, Vincenzo Nigro riferisce dell’assemblea di New York: “Tutto il mondo con Obama «Sì al disarmo nucleare»”. Per la prima volta, smettendo gli abiti dell’unilateralismo, un presidente degli Stati Uniti presiede la riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (snobbato dai precedenti capi di stato americano, perché è la sede delle mediazioni…). In più Obama ha ottenuto un risultato senz’altro significativo: un voto unanime alla sua risoluzione, la 1887, che chiede ai paesi membri di abolire le loro armi nucleari, di frenare la loro diffusione e di lavorare per il disarmo (anche preventivo, vedi Iran). E per convincere, il presidente cita un suo predecessore certo non pacifista, Donald Reagan secondo il quale «la guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere mai combattuta». La vera novità di questo voto, secondo Nigro, è la posizione della Russia il cui presidente Medvedev ha detto: «sul nucleare crediamo di dover aiutare l’Iran a prendere la giusta decisione: le sanzioni raramente producono risultati ma in alcuni casi le sanzioni sono inevitabili». La Cina è sempre più isolata essendo rimasta la sola fermamente contro le sanzioni (all’Iran e alla Corea del Nord).
Il commento è a firma di Kofi Annan, Amartya Sen e Michel Camdessus: “Il prezzo pagato dai paesi poveri”. L’apprensione per riformare il mercato è scesa, ma «il dramma quotidiano per la sopravvivenza della grande maggioranza della popolazione mondiale continua», scrivono. «I leader del G20 devono mantenere fede agli impegni presi… Avendo riconosciuto che “mitigare l’impatto sociale della crisi e il danno cagionato a lungo termine al potenziale del mondo è una responsabilità collettiva”, il gruppo ora deve fare il punto su quanti aiuti hanno effettivamente raggiunto o sono diventati accessibili al mondo in via di sviluppo». Ci sono dei segnali incoraggianti. Ma si devono ancora fare molte scelte. Ad esempio allargare il mandato del Fmi in materia di sorveglianza, rivedere le regole non eque del commercio internazionale, i sussidi gonfiati, le regole sulla proprietà intellettuale.

Nessun accenno in prima pagina su IL GIORNALE sul voto all’Onu per la non proliferazione delle armi nucleari. L’apertura dell’edizione di oggi è tutta dedicata ad “Annozero è come un manicomio”, “Libertà di fango” è l’occhiello. La notizia finisce a pagina 17. A proposito della «vittoria di Obama» il cronista scrive che «si tratta, beninteso, di un successo più che altro di immagine. Lo stesso Obama ha riconosciuto di “non avere illusioni a proposito della difficoltà di arrivare a un mondo senza armi nucleari”. Ma la Casa Bianca conta di poter partire da questa base fatta di parole per arrrivare a risultati concreti con il tempo; e chiaramente nel mirino del processo di denuclearizzazione ci sono quelli che il suo predecessore George W. Bush avrebbe definito “Stati canaglia”, ovvero l’Iran e la Corea del Nord». In un colonnino IL GIORNALE dice quali sono i Paesi in possesso di armi atomiche: le potenze nucleari dichiarate legali dal Trattato di non proliferazione (Tnp) sono cinque: Usa, Gran Bretagna, Russia, Francia e Cina. India e Pakistan (non firmatari del trattato) da anni possiedono testate. La Corea del nord ha effettuato due test nucleari. Israele non ha firmato il trattato, non ha mai ammesso di avere armi atomiche ma nessuno mette in dubbio che ne possieda.

“L’Onu bandisce le armi atomiche” è il titolo del SOLE24ORE, che non mette la notizia in prima pagina. Da segnalare però la bella tabella infografica che illustra gli arsenali nucleari al mondo: i paesi che li possiedono sono Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Israele, Cina, India e Pakistan oltre a Iran e Corea del Nord, definiti paesi «con programmi di proliferazione nucleare». Il panorama è comunque in chiaroscuro, perché per esempio Israele non ha mai ammesso di avere armi nucleari, India Pakistan e lo stesso Israele non aderiscono al trattato di non proliferazione. Quasi tutti i paesi, esclusa la Corea, hanno sospeso i test nucleari nel corso degli anni 90.

IL MANIFESTO  fa un richiamo comune per G20 e Onu, sotto il cappello vertici mondiali: «Crisi, il G20 prova a riscrivere le regole. E Obama all’Onu prova con il disarmo nucleare». Due gli articoli a pagina 9 dedicati al tema del disarmo: due colonne la prima intitolata “Obama fa votare all’Onu la messa al bando delle armi atomiche”, mentre la seconda, un commento punta su «La parola “disarmo” torna in agenda. A quando i fatti?». Si legge: «Una nota positiva è che Obama ha rifiutato un primo draft della nuova Nuclear Posture Review, chiedendo di includere opzioni più restrittive: riduzione dell’arsenale a centinaia piuttosto che  migliaia di testate, restrizioni delle condizioni per l’uso delle armi nucleare, ma anche la ricerca di metodi atti a garantire l’affidabilità delle testate senza ricorrere ai test (…) Il cammino comunque si prospetta lungo e irto di ostacoli, trabocchetti e imprevisti. Un test cruciale sarà la prossima Conferenza di revisione del Tnp nel 2010 (…) E poi bisogna ricordare che, se le testate strategiche operative di Usa e Russia sono oggi circa 5000 (più circa 2500 testate tattiche, di cui per ora non si parla), 1000 di queste rimangono in stato di allerta pronte al lancio su allarme e pertanto soggette ai rischi di guerra per errore. Dopo di che rimangono circa 15.000 testate non operative ma non smantellate».

LA STAMPA titola in apertura, “Onu, stop alle armi nucleari”. A pag.2-3 la cronaca della giornata. Mentre i commenti sono dedicati al G20, sui temi economici.
 
“Stop alla bomba”, titola AVVENIRE in prima pagina. Ma subito mette i punti sulle i con un dubbioso: “All’Onu sono tutti d’accordo (a parole)”. Nel pezzo a firma di Loretta Bricchi Lee, la sessione straordinaria di ieri è definita come “memorabile”, come pure il risultato raggiunto. Il punto critico evidenziato è che la risoluzione approvata non fa diretta menzione alle nazioni fuori dal trattato come India e Pakistan oppure a Teheran e Pyongyang. A piede Luca Geronico segnala l’intervento del presidente iraniano Ahmadinejad che «a un’assemblea semideserta» ha consegnato un «ramoscello d’ulivo» che «alla fine non convince nessuno»: ovvero l’invito a un vertice internazionale di scienziati ed esperti nucleari iraniani e americani che però sembra solo una mossa per «mischiare le carte». Mentre lui «volutamente relegato in un angolo del programma, recitava la sua parte», in una saletta appartata i 5+1 scrivevano per l’Iran una sorta di ultimatum: entro il 1 ottobre Teheran deve presentare una risposta seria alle richieste di interruzione del suo programma nucleare, in caso contrario scatteranno le sanzioni. Una ipotesi su cui, a questo punto, frena solo la Cina.


E inoltre sui giornali di oggi:

 

SCUDO FISCALE

LA REPUBBLICA – “Scudo, via le informative sul terrorismo”. Carlo Petrini riferisce dell’iter parlamentare blindato dello scudo fiscale. Dopo il Senato, la Camera ha dato il via libera. Probabilmente lunedì il governo porrà la fiducia. Ma sottolinea un aspetto fino a ora poco esplorato: in base al nuovo testo chi rimpatria i capitali non potrà più essere segnalato all’Unità di informazione finanziaria della Baca d’Italia per l’antiriciclaggio nemmeno se c’è il sospetto di operazione volte al finanziamento del terrorismo. Nel frattempo Banca Etica ha emesso un comunicato nel quale informa che «non accetterà la raccolta di capitali che dovessero rientrare in Italia grazie allo scudo fiscale».

 

AMBIENTE E G20

IL MANIFESTO – Il titolo di apertura de IL MANIFESTO è dedicata alla discussione sui cambiamenti climatici al G20 «Emissione impossibile» nel sommario si legge: “Mentre al G20 si discute di cambiamenti climatici e tutto il mondo pensa a come ridurre i gas serra, Berlusconi chiede all’Europa di abbassare i limiti delle emissioni per favorire le imprese. Ma incassa lo schiaffo dell’Ue: “I tetti sulle quote di Co2 assegnate all’Italia non sono negoziabili». Il commento a firma di Guglielmo Ragozzino in prima è “Veleni italiani”. «In sede G8 si è raggiunto “l’accordo di stabilire un limite di 2 gradi centigradi di aumento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale”. A chi legge, l’asserzione che precede sembrerà ovvia, oltreché zoppicante. È però importante perché è una frase di Silvio Berlusconi, pronunciata l’altro giorno di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite e ripubblicata sul sito del governo italiano. Pesa, proprio perché è impossibile smentirla, almeno fino al momento in cui, come nel 1984 orwelliano, un Grande fratello non deciderà di cancellarla definitivamente dalla memoria collettiva. Per mantenere l’altrimenti inevitabile aumento della temperatura (…) occorre tagliare del 50% le emissioni di gas di serra (…) e qui casca l’asino. Uno dei paesi dell’Ue, l’Europa dei ricchi, non ci sta; trova da oltre un anno ogni occasione per tirarsi indietro, per ricattare gli altri, agitando il diritto di veto e con altri espediente, come quello di boicottare l’elezione del presidente della Commissione o di alimentare il coro dei negazionisti, quelli che deridono le convenzioni della grande maggioranza degli scienziati (…)».

 

CATTOLICI 

LA STAMPA – “La grande fuga dei cattolici alle urne: 4 su 10 non hanno votato alle Europee”. Secondo un sondaggio Ipsos presentato ieri alla Camera al seminario dell’associazione d’area PD “Persone e Reti”  presieduta da Luigi Bobba, c’è una forte crescita dell’astensionismo tra i votanti cattolici (+14,6% in un solo anno). Alle europee il 39,1% dei cattolici non ha espresso preferenze. Secondo il sondaggio il consenso verso il Pdl, da aprile a luglio, è scivolato di 9 punti percentuali. Il Pd ha guadagnato 2 punti ma a essere cresciuta è l’area del «non voto» che passa dal 25% di aprile al 37% di luglio.

GIOVANI E ALCOL 

CORRIERE DELLA SERA – L’allarme del Centro disagio di Milano: i genitori escono, pomeriggi di studio e alcol. «Aspettavamo che la mamma della mia amica andasse ad accompagnare il fratello piccolo in palestra». Compagne di scuola, due ra­gazzine milanesi, una 15 anni e mezzo, l’altra sedici, studiava­no insieme due volte a settima­na. «Quando sua madre usci­va, bevevamo quello che si tro­vava in casa. Altre volte porta­vo la vodka in una piccola bot­tiglia». Amari, liquori, rum. Con i libri aperti sulla scriva­nia. Alle 5 del pomeriggio. «Una volta la mia amica si è ad­dormentata, io sono tornata a casa ubriaca. Andavo giù pe­sante col profumo per evitare che i miei se ne accorgessero». Il racconto è di una studen­tessa di una scuola superiore milanese. L’hanno raccolto i medici del Centro per il disa­gio dell’adolescente dell’ospe­dale Fatebenefratelli, unica struttura pubblica in Italia che fa un lavoro specifico sull’abu­so di alcol tra i giovani sotto i 16 anni. Le statistiche disegna­no il contesto: 8 milioni e mez­zo di italiani a rischio abuso; tra questi, 750 mila adolescen­ti; l’età media del primo bic­chiere è 12 anni e mezzo; il 54,6 per cento dei ragazzi tra 15 e 19 anni ha già provato al­meno una sbornia pesante (da­ti dell’Istituto superiore di Sani­tà e di una ricerca del Comune di Milano)».

 

DONNE IN POLITICA 

IL MANIFESTO – Richiamo in prima per il caso Taranto dove è stata giudicata illegittima la giunta Pd composta di soli uomini. «”Non può essere composta soltanto da uomini”. Il Tar azzera la giunta del Pd». Accanto all’articolo dedicato al caso vengono analizzati alcuni dati dell’Ue e italiani «Città in rosa. Peggio di noi c’è solo l’Azerbaigian», un quadro “sconfortante” «L’Italia è sempre al di sotto della media dei Paesi europei tranne per i residenti di regione, dove il nostro paese è secondo solo all’Austria e ben al di sopra della media Ue (10% contro il 2,8%). Per il numero di sindaci donna l’Italia è 18esima. E penultima per assessori comunali e consiglieri regionali». Il commento è affidato a Ida Dominijanni «Pari opportunità, basta la sentenza?» nell’articolo si sottolinea come questo fatto sia da un lato un autogol per il centrosinistra e dall’altro un «Boccone ghiottissimo per la ministra Carfagna e le sue sodali che non smettono ma di portare acqua al mulino del “vero uomo” di palazzo Chigi (…)» per concludere «Gioverebbero altre reazioni agli entusiasmi di Mara Carfagna. Questa ad esempio: che cosa diventano le pari opportunità e le quote rosa in un paese in cui il presidente del consiglio le interpreta come le ha interpretate scambiando “l’intrattenimento dell’imperatore” con le candidature al parlamento e al Grande fratello? Quali criteri di promozione femminile s’è inventato il partito democratico, oltre ai premi per chi è disposta a giurare che è nuova di zecca e di politica non ne ha mai fatta, o che le interessa guardare solo ai prossimi trent’anni e dei centocinquanta passati non le importa nulla? I tribunali possono salvare una giunta dall’impresentabilità. Ma non è detto che bastino a rendere una politica presentabile».

 

DONNE IN CARRIERA 

SOLE24ORE – “Donne in carriera, perché il successo non dà la felicità” è il titolo di un articolo di prima pagina scritto da Maureen Dowd che affronta il tema: la rivoluzione femminista ha beneficiato più gli uomini che le donne? Risposta: sì, almeno secondo il Genral Social Survey, il «termometro» degli umori degli americani, secondo il quale, appunto, le donne sono sempre più scontente e gli uomini sempre più felici. Perché? Una spiegazione è che «le donne a casa devono sopportare un maggior carico di lavoro, ovvero il “secondo turno”» ma è anche vero che questo lavoro rispetto ad anni fa è più leggero perché nel frattempo gli uomini sono stati “costretti” a collaborare. Altro motivo: le donne sono entrate negli ambiti maschili, e quindi hanno più elementi di stress; se prima si preoccupavano solo della casa e dei figli, adesso si preoccupano anche del lavoro. Ma la vera ragione, a sorpresa, sarebbero i figli: «fra tutti i dati sulla felicità, la cosa che nella vita ti toglie più felicità è avere figli» perché portano preoccupazioni e stress. Ma non è finita: negli ultimi anni si è aggiunto anche l’aspetto fisico e l’obbligo di essere esteriormente perfette e giovani. Insomma un disastro. Conclusione? «Il punto non è la felicità». Ma qual è allora? L’articolo non risponde.

 

AIDS 

LA STAMPA – “Aids, prove generali di vaccino”. Sono stati resi noti i risultati di un maxi test compiuto su 16mila volontari in Thailandia. Il rischio di contagio è ridotto del 31%. Per Anthony S. Fauci, il direttore dell’Istituto Nazionale delle allergie e delle malattie infettive che ha finanziato parte della ricerca durata sei anni, i risultati sono una pietra miliare: «Concettualmente, ora sappiamo che un vaccino è possibile. Non dico che quello finale sarà simile al vaccino utilizzato nel test – ha detto in una conferenza stampa – ma ora so che può essere creato».

RIFIUTI 

IL MANIFESTO – Interessante reportage da Accra in cui si parla di «Un quartiere costruito sui residui. Bambini che rovistano tra fumi nauseabondi e gas nocivi. Nel grande deposito a cielo aperto di Agbogbloshie si è sviluppata una vera economia di riciclaggio», in Ghana c’è il cimitero dei nostri elettrodomestici: frigoriferi, computer, materiali di ogni tipo, nella discarica labirintica di Accra si ammucchiano, infatti, gli scarti del mondo ricco.

 

AFGHANISTAN 

ITALIA OGGI – “Altro che fuga, mandiamo gli aerei “, titola il quotidiano giallo, che nel pezzo  di Emilio Gioventù spiega che non è prevista nessuna exit strategy e anzi l’Italia ha acquistato dagli Usa due nuovi predator da 21 milioni di euro: «Nelle ore della commozione, infatti, c’è stato chi timidamente ha cominciato a sussurrare due parole in inglese: exit strategy. Ovvero: riportiamo a casa i nostri militari. I fatti, invece, sembrerebbero dire l’esatto contrario. Ovvero che si rimane e si rimane in assetto di guerra. Va in questo senso il parere favorevole espresso ieri dalla commissione Difesa del Senato all’acquisizione di due aerei a pilotaggio remoto, ovvero i cosiddetti predator, capaci di assicurare, senza piloti ma comandati a distanza tramite computer, copertura dall’alto ai nostri militari».

 

ECONOMIA 

LA STAMPA – Lucia Annunziata dedica il suo commento all’incontro di Pittsburgh. Il titolo è “priorità al problema del lavoro”. «Dall’appuntamento londinese di aprile molte cose sono cambiate. Allora la riunione avvenne con l’acqua alla gola. L’incontro di oggi si svolge invece nel segno di una ripresa – sia pur non tale da poter brindare. E proprio l’alto livello di disoccupazione svela la fragilità di questa ripresa. Il peso e il significato della crisi occupazionale sono stati ratificati mercoledì scorso dalla più autorevole delle fonti, la Fed.  dopo un seminario di due giorni, la Banca centrale americana ha dichiarato che non cambierà i tassi di interesse “per un lungo periodo” (i tassi Usa sono di poco superiori allo zero dal 2008, a stimolo di una economia ancora debole). Una decisione che gli analisti spiegano così: “Ci si aspetta per i prossimi due anni una crescita positiva ma molto lenta, non sufficiente a far abbassare significativamente il livello di disoccupazione – che è poi la vera ragione per cui la Fed sarà molto accomodante nei prossimi anni”.


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