Non profit
Obama non parla della guerra alla nazione
In compenso la settimana prossima parleranno al Congresso l ministro della Difesa, Robert Gates, e il segretario di Stato Hillary Clinton
di Redazione
Anche dopo l’annuncio del trasferimento alla Nato del comando dell’operazione in Libia, non si allenta la pressione di chi a Washington chiede a Barack Obama di chiarire scopi e portata di Odyssey Dawn. E i repubblicani continuano a ripetere le critiche che lo Speaker John Boehner ha sintetizzato nella lettera inviata alla Casa Bianca in cui si chiede al presidente di spiegare finalmente “al Congresso, al popolo e alle truppe americane che cosa sia la missione in Libia e quale il ruolo americano”, ricorda oggi il “Washington Post”. Insomma, si chiede ad Obama un discorso alla nazione, il tradizionale discorso dalla scrivania dello Studio Ovale, che il presidente pero’ vuole, almeno per il momento, evitare. Quello che non vuole Obama e’ che si possa creare, anche solo a livello visivo, un parallelo tra le guerre in Iraq e Afghanistan – che appunto sono state annunciate e spiegate da discorsi presidenziali – e questo che la Casa Bianca intende presentare come un intervento limitato nel tempo e nel tipo di impegno. I collaboratori del presidente non escludono certo che Obama parli di Libia nei prossimi giorni, scrive oggi Politico, ma ritengono molto improbabile che ceda alle richieste di pronunciare un discorso strutturato e compiuto che illustri in dettaglio la missione. Almeno fino a quando non sara’ effettivo l’annunciato passaggio del comando alla Nato, che – stando a quanto dichiarato da Casa Bianca e Pentagono – lascera’ agli Usa un ruolo di sostegno e non piu’ di primo piano nella missione.
Intanto, pero’, l’amministrazione per rispondere alla crescente insofferenza da parte dei repubblicani, e anche di qualche esponente piu’ liberal dei democratici, per l’intervento e il modo in cui e’ stato deciso, senza appunto coinvolgere il Congresso, inviera’ la prossima settimana a Capitol Hill il ministro della Difesa, Robert Gates, e il segretario di Stato Hillary Clinton. Anche il direttore della National Intelligence, James Clapper, e l’ammiraglio Mike Mullen, a capo degli Stati Maggiori Riuniti, parteciperanno al briefing che si terra’ mercoledi’ prossimo su “Le politiche degli Stati Uniti e le operazioni militari in Libia”. La riunione sara’ a porte chiuse e vi potranno partecipare solo i congressisti, senza i loro collaboratori. L’incontro si terra’ all’indomani della riunione del gruppo di contatto di Londra, a cui partecipera’ la Clinton, che dovrebbe rendere operativo il trasferimento del comando alla Nato. Subito dopo l’annuncio del raggiungimento dell’accordo ieri a Bruxelles, il segretario di Stato ha assicurato che “stiamo gia’ vedendo una significativa riduzione del numero degli aerei americani coinvolti nelle operazioni man mano che il numero dei paesi che partecipano alla missione aumentano”.
Ma e’ sicuro che i repubblicani – che hanno anche sollevato la pressante questione dei finanziamenti di una missione il cui costo si aggira tra i 30 e i 100 milioni di dollari alla settimana arrivando anche a minacciare mozioni tese a congelare i fondi destinati a Odyssey Dawn – alla Clinton, a Gates ed ai leader militari chiederanno di essere molto piu’ specifici nello spiegare come, e soprattutto quando, gli Stati Uniti faranno un passo indietro nella missione. E di definire con maggiore chiarezza quale sia lo scopo ultimo della missione. La domanda e’ una di quelle provocatoriamente poste da Boehner ad Obama, quando lo Speaker della Camera ha chiesto se sia accettabile che la missione si concluda “con Gheddafi che rimane al potere? e se no, come potremo rimuoverlo?”. Quello che urta maggiormente la suscettibilita’ repubblicana e’ la forte impostazione multilaterale, diametralmente opposta a quella del cow-boy George Bush, di Obama. “In un certo senso il presidente si e’ messo in una situazione in cui e’ ostaggio delle azioni degli altri” ha spiegato al Post James Lindsay, ex consigliere dell’amministrazione Clinton che ora dirige il Council on Foreign Relations. In ultimo, l’opinione pubblica che, come e’ normale in America, in questa fase iniziale dell’intervento e’ a sostegno dell’operazione per quello che gli esperti chiamano l’effetto “uniti sotto la bandiera”. Ma, ad una lettura piu’ attenta, si nota che il 47% dei favorevoli contro il 37% dei contrari e’ la percentuale piu’ bassa di sostegno ad un conflitto dagli anni ’80.
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