Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Non è ancora la ratifica della Convenzione da parte del Senato degli Stati Uniti, che si fa attendere, ma è un importante passo avanti, e un segnale che arriva in tutto il mondo, sia pure a fatica, e solo attraverso i pochi media che se ne sono accorti. Obama lo aveva promesso in campagna elettorale, inserendo questo impegno all’interno di un denso e puntuale programma di governo rispetto al tema della disabilità. In particolare ricordo la precisione con cui il futuro presidente degli Usa parlava di appoggio alla “vita indipendente”, ossia a tutti quei progetti che costruiscono, attorno alla persona con disabilità e con la persona protagonista di se stesso, un percorso di emancipazione e di libera scelta, rispetto alla vita, alla famiglia, al lavoro, al divertimento.
La firma di Obama è arrivata nelle stesse ore nelle quali mia madre cessava di vivere. Mi ha colpito questa coincidenza. Avevo parlato spesso con lei della Convenzione, e le facevo notare che i principi che il trattato espone con grande chiarezza erano stati da lei, e da mio padre, anticipati di cinquant’anni. La mia vita di persona con disabilità è infatti stata costruita attorno alle mie capacità, non a ciò che mi mancava. E ogni sforzo è stato fatto perché io potessi di volta in volta decidere in modo consapevole e autonomo sul mio destino, comprese le scelte più delicate connesse alle modalità del mio recupero fisico. Le sono enormemente grato, mia mamma era una donna di eccezionale modernità. Ho pensato in questi giorni che molto spesso la discriminazione delle persone con disabilità è ancora così diffusa e non percepita come grave e ingiusta, proprio perché manca ancora una cultura condivisa dei diritti, a partire dalla famiglia, che è spesso il primo luogo di segregazione e di vergogna.
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