Mondo
Obama, i confini della pace
"Tornare al '67", ma Israele e Hamas restano scettici
Il discorso di Obama sulla pace in Medio Oriente conquista le prime pagine dei quotidiani, togliendo, per un giorno, l’esclusiva alla tensione politica nazionale. Ecco la nostra selezione di oggi.
- In rassegna stampa anche:
- AMMINISTRATIVE
- DISABILI
- CURRENT TV
- LIBIA
- POVERTA’
- NON PROFIT
- VITA
“Obama spinge Israele e palestinesi «Pace e ritorno ai confini del ‘67» è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA, corredato dalla foto dell’abbraccio fra Obama e Hillary Clinton. La notizia: Obama spinge Israele e chiede uno scambio di terra per due Stati. Una pace duratura, dice il presidente Usa, richiede Stati separati: la linea di confine dev’essere quella del 1967. Poco incoraggianti le prime reazioni di Hamas e di Israele. Ma più in generale Obama appoggia la primavera araba. Sempre dalla prima parte un’intervista di Beppe Severgnini ad Al Gore. I servizi alle pagine 2 e 3, mentre sempre in prima campeggia l’editoriale “La democrazia come bussola” di Massimo Gaggi. Leggiamo: “Il cuore gettato oltre l’ostacolo, abbandonando definitivamente i vecchi regimi mediorientali e incalzando l’alleato israeliano, non per il desiderio di rinverdire le parole d’ordine — hope e change, speranza e cambiamento — che tre anni fa lo proiettarono verso la Casa Bianca e fecero sognare il mondo, ma sulla base di una fredda analisi: per Barack Obama continuare a difendere lo status quo per paura dell’instabilità generata dal cambiamento non è più possibile né nei Paesi scossi dalla «primavera araba» né ai tormentati confini tra Israele e territori palestinesi. Meglio la temeraria sfida di negoziare un reciproco riconoscimento lungo le frontiere del 1967 (opportunamente corrette) dell’attuale, astiosa paralisi: il riconoscimento di una reciproca impotenza che sta facendo scivolare tutta l’area verso il baratro. Nel discorso con il quale ieri ha ridefinito la sua politica mediorientale 23 mesi dopo il celebre messaggio all’Islam pronunciato al Cairo e a sei mesi dall’inizio delle rivolte contro i dittatori del mondo arabo, il presidente americano ha ammesso i rischi insiti nelle sfide che ha deciso di accettare: nel suo piano non ci sono più approdi sicuri né una vera road map. Solo la consapevolezza di dover fronteggiare situazioni molto diverse tra loro avendo a disposizione un’unica, possibile bussola: la difesa dei principi universali — libertà e diritti umani— ai quali si ispira l’America”. “L’America non può ignorare il desiderio di libertà degli arabi” è il titolo dell’intervista di Severgnini ad Al Gore, ospite ieri di Corriere tv. Eccone un passaggio: “Dobbiamo davvero stare attenti, esser cauti – risponde Gore -. Ma dobbiamo sicuramente appoggiare questo desiderio di libertà. La politica mediorientale della precedente amministrazione non è stata particolarmente cauta. La decisione di invadere l’Iraq è solo uno dei tanti episodi. Fox News – non dimentichiamolo -ha contribuito a convincere la gente che Saddam Hussein fosse il principale colpevole dell’ 11 settembre; e che probabilmente, con armi nucleari, fosse pronto ad attaccarci di nuovo. Quando grandi nazioni prendono grandi decisioni sulla base di falsità e menzogne è pericoloso. Noi siamo ancora in Iraq, questo è il dramma. E non siamo neanche riusciti a concludere il capitolo Afghanistan”. Tutt’altro che entusiastica la reazione in Medio Oriente, la racconta a pagina 3 Francesco Battistini: “Israele: «I confini del ’ 67? Non ci potremmo difendere»” . Leggiamo: “Tutto previsto. E tutto men che una verginella, all’ora del discorso Bibi ha la replica pronta, scritta da due giorni. La manda subito in rete: tornare alla risoluzione 242 dell’Onu, e alla Linea Verde del ’49, sarebbe «disastroso» e «indifendibile» . C’è una lettera firmata Bush del 2004, ricorda Netanyahu, con una serie di rassicurazioni che contraddicono l’appello del successore. Cita una delle sue condizioni, che martedì declamerà anche al Congresso: «I palestinesi devono riconoscere Israele come Stato degli ebrei e ogni accordo di pace deve chiudere lo spazio a future richieste» . Bibi torna ad agitare anche una questione che da parte israeliana sembrava chiusa, almeno fino agli scontri di domenica ai confini siriano e libanese: «Senza una soluzione sui profughi del ’48, nessuna nostra rinuncia territoriale porrà fine al conflitto» . E tanto per chiarire che si fa sul serio, proprio in contemporanea col discorso di Obama, ecco che da Gerusalemme arriva puntuale l’annuncio: nei quartieri Est di Pisgat Zeev e di Har Homa, occupati dal ’67, verrà autorizzata la costruzione di 1.608 nuove abitazioni israeliane”.
“Obama: Israele nei confini del ’67. Netanyahu e Hamas dicono no”. Taglio medio, servizi a pagina 18 e 19, e il discorso del presidente USA a pagina 36. E’ questo lo spazio che dedica LA REPUBBLICA all’intervento di Barack Obama sulla crisi in Medioriente. Ma il discorso di Obama non coinvolge solo Gerusalemme e dintorni, il numero uno della Casa Bianca promette aiuti all’Egitto e alla Tunisia e attacca l’Iran. E’ un presidente tutto tondo che affronta il problema della stabilità nei paesi arabi. In questo contesto c’è spazio per tessere le lodi delle magnifiche sorti e progressive: «La televisione satellitare e internet forniscono una finestra sul mondo, un mondo che fa progressi incredibili in luoghi come l’India, l’Indonesia e il Brasile», ha detto Obama. Sottolineando l’importanza della tecnologia nello sviluppo della democrazia: «I telefoni cellulari e le reti sociali permettono ai giovani di collegarsi, è emersa una nuova generazione e la sua voce ci dice che il cambiamento non può essere negato». «L’Oracolo ha parlato» scrive Alberto Stabile nel suo commento a pagina 19. «Ma quello che il presidente americano ha detto nel suo “major speech” a proposito del conflitto che oppone da 63 anni israeliani e palestinesi, non soddisfa né gli uni né gli altri. In misura diversa, ovviamente. Perché quello che spinge il presidente palestinese, Mahmud Abbas ad «apprezzare» il discorso – e cioè l´affermazione, inedita sulla bocca di un presidente Usa, secondo cui «i confini devono essere basati sulle linee del ‘67» – è esattamente quello che ha fatto infuriare Netanyahu».
“La primavera araba mette d’accordo Obama e Osama” è questo il titolo che commenta il discorso tenuto ieri dal Presidente degli Stati Uniti. IL GIORNALE parla di «empasse perché sotto la guida di Obama L’America non solo non riesce a prevedere l’arrivo della primavera mediorientale, ma si dimostra anche incapace d’affrontarla. I cinque mesi che fanno tremare il Medio Oriente facendo circolare la rivolta della Tunisia all’Egitto, dalla Libia allo Yemen, dal Bahrein alla Siria sono, se visti dallo Studio Ovale un caleidoscopio di sorpresa, improvvisazione, confusione». IL GIORNALE rivela che «Obama a tre mesi dall’addio di Mubarak, cerca di comprarsi la fedeltà del nuovo Egitto a suon di dollari. Ma i miliardi promessi al Cairo sono il simbolo più evidente della mancanza di credibilità di una Casa Bianca incapace sia di difenderei vecchi alleati sia d’imporre la superiorità della propria visione ai nuovi leader». E infine: «E così mentre Hamas è il primo a rifiutare le offerte di negoziato il discorso di Obama mostra tutti i limiti delle sue promesse. In Libia, ad esempio, la no fly zone ci ha trascinato nel tunnel di una guerra da cui nessuno, Obama in testa, sa come uscirne».
IL MANIFESTO, in una prima pagina che apre con le imminenti elezioni spagnole “Madrid real”, dando spazio alle manifestazioni alla Puerta del sol, riserva l’editoriale di Marco d’Eramo alle ultime prese di posizione del Presidente degli Stati Uniti: “Obama, l’audacia più cauta”. «Barack Obama ha ieri esposto alcune delle più coraggiose affermazioni mai pronunciate da un presidente degli Stati uniti. Nei 50 minuti e passa del suo atteso discorso sul Medio oriente, ha osato l’indicibile, contro cui avevano scommesso molti esperti: ha detto che i confini del 1967 devono essere la base di ogni futuro accordo tra Israele e palestinesi. Ha bacchettato il re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Ha posto il leader siriano Bachir el Assad di fronte all’alternativa: “o guida le riforme o se ne va”. (…) Ha lanciato un “piano Marshall” per i paesi che imboccano le riforme. E la lista è ancora lunga. (…)». Nell’editoriale, che prosegue a pagina 9, interamente dedicata ai rapporti tra Usa e Medio Oriente, si legge ancora: «(…) Sul Medio Oriente in generale non è possibile non essere d’accordo con la quasi totalità delle affermazioni di Obama. Ma l’ovvietà delle sue tesi pone un’ulteriore domanda. Chi infatti non preferisce la libertà alla schiavitù? E chi vorrebbe vivere sotto una tirannia invece che in una democrazia? E che forse la pace non è meglio della guerra? E la tolleranza meglio del fanatismo? E la storia di Mohamed Bouazizi, il giovane venditore ambulante tunisino che si lascia bruciare, non è forse un exemplum virtutis civilis da manuale? A sentire Obama descrivere quel che è successo in Egitto, Yemen, Tunisia, Libia, Bahrein e Siria, sembrava di ascoltare un attento lettore medio del New York Times: un benpensante ben informato. Ma tale non era Obama, bensì l’ascoltatore che lui aveva in mente. (…)» e conclude: «(…) La carta bin Laden ha permesso a Obama di riposizionare la propria politica mediorientale. Di «vendere» agli elettori Usa la sua iniziativa di pace non come una velleità pacifista sinistrorsa di uno snob liberal laureato ad Harvard – quale poteva apparire due anni fa – , bensì come gestione più lungimirante degli interessi a lungo termine di una potenza imperiale (…)». Nell’articolo di apertura a pagina 9 “Obama, silenzi e promesse”, Michele Giorgio scrive: «(…) Il discorso “numero 2” al mondo arabo-islamico di Obama, a due anni dal primo che pronunciò al Cairo sotto lo sguardo compiaciuto del passato regime egiziano, ha insistito troppo con le valutazioni sulle ragioni delle rivolte già fatte e ascoltate da più parti in questi cinque mesi e su una scontata esaltazione della nuova comunicazione on line, in un quadro dove gli amici e i nemici dell’America sono sempre gli stessi. (…)» e più avanti: «(…) Obama ha lanciato un attacco durissimo all’intenzione del presidente Abu Mazen di proclamare lo Stato palestinese unilateralmente all’Onu, il prossimo settembre (…) e mentre pronunciava queste parole la commissione edilizia del Comune di Gerusalemme dava il primo via libera alla costruzione di 1.550 nuovi alloggi da realizzare all’interno di insediamenti ebraici situati a Gerusalemme est (…)»: La fine dell’articolo riporta le reazioni: la risposta di Hamas che non riconoscerà lo stato ebraico e quella di Netanyahu che ha escluso il ritiro sui confini del 1967.
“Al Medio Oriente serve ancora l’America”, è il titolo dell’analisi di Ugo Tramballi a pagina 11 de IL SOLE 24 ORE: «Servono ancora l’America e l’Europa al Medio Oriente? La risposta è sì. Senza il nostro aiuto la Primavera araba potrebbe finire nel caos: qualche segno è già percepibile. E senza la nostra pressione israeliani e palestinesi non arriverebbero mai alla pace: non è detto che con noi la facciano ma senza è certo che non la faranno: “noi” è un eccesso di presunzione: sarebbe più corretto dire gli Stati Uniti e poi l’Europa, la Russia, i Paesi emergenti, le Nazioni Unite. Il Medio Oriente è ancora la regione del mondo dove l’America esercita il suo ruolo di grande potenza. Era una conferma che si attendeva dal discorso di Barack Obama e, tutto sommato, la riprova c’è stata. Più evidente e concreta nel capitolo Primavera araba; più segnali in codice da addetti ai lavori sulla questione palestinese. Non è la prima volta che l’Occidente investe miliardi in Medio Oriente: per garantirsi i suoi flussi energetici, per tenere in piedi regimi amici o abbattere gli avversari, per fare affari secondo il legittimo meccanismo della domanda e dell’offerta. Questa volta siamo chiamati a spendere soldi – meglio, investire – sul successo della democrazia politica e dunque di un’economia di mercato trasparente. Non era mai successo con questa evidenza. Per la prima volta gli arabi non si sono mobilitati per il socialismo, la teocrazia o una guerra a Israele. Lo hanno fatto per la libertà, la democrazia e la trasparenza: valori nostri, valori universali ma che fino all’anno scorso i regimi arabi definivano “occidentali”. La libertà costa cara. In vite umane e anche in sviluppo economico, all’inizio. Nel 2011 il Pil egiziano scenderà dal quasi 6 al 2%: per il travolgente sviluppo demografico del Paese, equivale a zero. La Tunisia non avrà crescita. La Libia sprofonderà a meno 20, prima che la produzione petrolifera riprenda come prima. Per evitare che tensioni sociali e povertà ne dirottino il cammino, la Primavera ha bisogno di essere sostenuta. Come abbiamo fatto con i Paesi dell’Est europeo dopo la caduta del Muro, ricorda Obama: una banca di sviluppo, investimenti, riduzioni del debito, commerci».
AVVENIRE apre in controtendenza con un titolo sugli “Speculatori all’assalto” e il ritorno della finanza rapace ma riserva a Obama una grande fotonotizia a centropagina (“Cadranno altri rais. Israele torni al ‘67”) che annuncia il Primo Piano alle pagine 4 e 5. Anche l’editoriale “Tra aria nuova e aria fritta” firmato da Luigi Geninazzi parla del discorso del presidente Usa che definisce «un inno appassionato a una nuova stagione di libertà e di democrazia cui è anche legato il futuro degli Stati Uniti». Per Obama «è imperativo un nuovo approccio ma per ora c’è solo un elenco di principi e di buone intenzioni, con l’aggiunta certo non trascurabile di un pacchetto di aiuti economici a quei Paesi arabi che hanno imboccato il cammino delle riforme… L’ostacolo più massiccio da rimuovere è sempre lo stesso: il conflitto israelo-palestinese. E su questo Obama, di fronte all’inevitabile constatazione che il processo di pace è in stallo da otto mesi, non fa altro che ribadire la soluzione dei due Stati, anche se cita il ritorno ai confini del 1967. Il che non basta ad Hamas e fa infuriare il premier israeliano Netanyahu, deciso a continuare nella politica di espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Obama inoltre manifesta la sua perplessità sulla riconciliazione siglata pochi giorni fa tra Fatah e Hamas, richiamando il movimento islamista che governa sulla Striscia di Gaza a riconoscere lo Stato d’Israele. C’è aria nuova in Medio Oriente, dice sollevato il capo della Casa Bianca. Ma anche un po’ di aria fritta. Chissà se riuscirà a riscaldare i cuori degli arabi, finora molto scettici nei riguardi dell’America di Obama». Nei servizi interni in evidenza le reazioni critiche al messaggio: Israele freddo sui confini e Hamas che parla di discorso schierato. Altri commenti sono affidati al docente americano John Esposito e all’analista libanese Amine Kammourieh. Secondo Esposito «Obama ha formalizzato un cambiamento radicale nell’approccio americano al Medio Oriente che elimina molte ambiguità». Per Kammourieh invece «sulla questione arabo-israeliana ha detto solo parole vecchie e superate».
Al centro della prima pagina de LA STAMPA una grande foto del presidente Obama che si allontana di corsa dall’Air Force One per raggiungere un gruppo di supporter. Titolo: «Israele, la svolta di Obama». Il servizio è di Maurizio Molinari: «Sostegno alle riforme, sfida ai dittatori, partnership economica con Medio Oriente e Nord Africa, e rilancio del negoziato israelo-palestinese. Sono i quattro pilastri della posizione americana sui «grandi cambiamenti in atto» grazie alle rivolte arabe che Barack Obama illustra parlando per quasi 60 minuti dalla Franklyn Room del dipartimento di Stato». Nei commenti si riportano tre reazioni di israeliani e palestinesi. Il generale israeliano Giora Eiland, «Ha cercato di accontentare tutti ma è molto difficile»; l’ex ministro pacifista Yossi Beilin, «Nessuno prima ha avuto il coraggio di citare quella data»; il giornalista di Fatah Hafez Barghoti; «Molto deludente, è chiaro che sta con gli israeliani». Mentre nel retroscena di Aldo Baquis si riferisce della reazione negativa del premier Netanyahu: «No, sarebbe a rischio la nostra sicurezza». Tira le somme Lucia Annunziata nel suo fondo intitolato «Senza slanci emotivi». «Il tanto atteso intervento del Presidente degli Stati Uniti sul Medioriente, arrivato nel pieno di grandi eventi, forse non passerà alla storia. Un discorso troppo minuzioso, ragionieristico nell’elencazione e cauto nelle soluzioni. Obama questa volta non ha avuto né lo slancio emotivo né la visione politica del discorso con cui al Cairo, solo un paio di anni fa, aveva aperto una nuova era nelle relazioni fra Stati Uniti e mondo musulmano». Però, «Giunti alla fine, non si può che prendere atto che nell’elenco fatto i problemi rimangono più numerosi delle soluzioni. Questo è del resto il Medioriente. E nemmeno l’uomo più potente del mondo può illudersi di plasmarlo. In questo senso, forse, la modestia di questo discorso, di cui parlavamo all’inizio, è l’unico possibile, realistico e anche commendevole tono da assumere». Chiosa la Jena, parafrasando Bossi, «Obama è un matto».
E inoltre sui giornali di oggi:
AMMINISTRATIVE
IL MANIFESTO – I ballottaggi di Napoli e Milano occupano oltre una parte della prima pagina con l’annuncio dell’intervista a Paolo Ferrero «L’alternativa che serve si chiama De Magistris» afferma Ferrero che guarda anche i referendum di giugno, l’intervista occupa quasi tutta la pagina 4. Sempre in prima inizia una lettera di Luigi De Magistris dal titolo “Indignazione e liberazione” nella quale il candidato di Idv osserva che «(…) a Napoli intorno alla mia candidatura, si è infatti polarizzato un movimento civile per il cambiamento (…)». Ai ballottaggi sono dedicate le pagine 2 e 3 che puntano l’attenzione principalmente su Milano e Napoli sottolineando per la prima «Attenti a quei due. In assenza di strategie per salvare la baracca, gli “spin doctor” hanno avuto un’idea: un comizio a due voci di Bossi e Berlusconi» e per la seconda «La regia del centrodestra in mano al sottosegretario casalese. Termovalorizzatore a napoli Est e tormentone sulla sicurezza». In corsivo “Tregua Pdl-Lega Ma Bossi non si fida e Tremonti si sfila”: «Ma quanto sono fortunati i milanesi! Che dopo aver bocciato in un colpo solo Lassini, Sallusti, Santanchè e Berlusconi possono fare lo stesso tra dieci giorni anche con Umberto Bossi. (…)L’uscita dal baratro elettorale non è facile né per il premier né per il Carroccio. La frase su «Milano-zingaropoli» in mano a Pisapia da parte di Bossi sembra uno scivolone degno dei falchi pidiellini in disgrazia. Che la situazione sia critica lo dimostra anche la paralisi della campagna elettorale. Bossi e Berlusconi non sanno ancora se e come partecipare alla battaglia finale. Il premier non si fida della piazza, teme contestazioni. (…)».
DISABILI
AVVENIRE – A pagina 14 parla della protesta di ieri davanti al Pirellone, ma senza nominare l’intervento della Moratti, con cui le associazioni delle famiglie di disabili hanno chiesto il ripristino del Fondo sociale per le politiche sociali e la revisione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), fermi al 2001. Di qui la decisione di Anfass onlus di proclamare uno stato di crisi nazionale. Il presidente Speziale denuncia.«Servizi sempre più scarsi e costosi. Non ce la facciamo più». L’argomento viene ripreso nelle pagine milanesi con un taglio basso che ricorda l’impegno di Formigoni a far ripristinare i fondi e parla dei fischi al sindaco Moratti. Un altro articolo ricorda infine che proprio ieri la Regione ha stanziato 40 milioni di euro per l’assistenza domiciliare dei circa 115mila anziani e disabili non autosufficienti.
CURRENT TV
LA REPUBBLICA – Sky ha deciso di cancellare il canale italiano di Current, la tv indipendente fondata sei anni fa da Al Gore e Joel Hyatt. La notizia è stata data dalla stessa emittente con una nota in cui si sottolinea che la “decisione arriva improvvisa e inaspettata dopo tre anni di successi di Current Italia”, evidentemente presa per motivi che nulla hanno a che vedere con gli ascolti o le performance. E scoppia la polemica. Durissimo il commento di Gore, che ospite di Michele Santoro ad Annozero accusa senza mezzi termini la News Corp. di Rupert Murdoch, proprietaria di Sky Italia, di censura: “Dagli Stati Uniti hanno ordinato a Sky di cancellare il nostro canale perché abbiamo appena scritturato un giornalista indipendente molto critico nei confronti di Murdoch”. Da parte sua, Sky sostiene che la decisione non è politica ed è dovuta semplicemente a un contratto scaduto, sul cui rinnovo non è stato trovato un accordo. Tutto questo succede a pagina 21 con un intervista ad Al Gore.
LIBIA
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per l’allarme umanitario lanciato dall’Onu sulla Libia che viene collegato al tragico sbarco di ieri in Sicilia che ha visto l’annegamento di tre migranti. A pagina 8 l’articolo di apertura è dedicato alla tragedia dei migranti che approdano sulle coste italiane, mentre in un grande riquadro di spalla si legge l’articolo “Ban Ki-moon: crisi umanitaria più grave”: «In Libia la crisi umanitaria si aggrava (…) Negli ultimi tre mesi – ha aggiunto -, circa 800.000 persone sono fuggite dalla Libia verso Egitto, Tunisia, Algeria, Niger, Ciad e Sudan. A metà maggio, oltre un milione di persone è stato colpito dal conflitto e ha bisogno di assistenza umanitaria. (…) Ieri, intanto, oltre un centinaio di sostenitori di Gheddafi sono scesi in piazza a Tripoli, davanti alla televisione di stato, dopo l’annuncio che alcuni quartieri di Bengasi, roccaforte dei ribelli “si erano ribellati ai colonialisti e ai loro sostenitori”. Secondo la tv al-Jazeera, incece, gli insorti sarebbero pronti allo “scontro finale” con le forze del Colonnello. E la Tunisia ha smentito la presenza dei familiari di Gheddafi nel paese. Anche Varsavia ha detto che la moglie e la figlia di Gheddafi non sono dirette in Polonia, contriamente a quanto riferito dai media. (…)».
POVERTA’
AVVENIRE – Analisi a pagina 7 del volto inedito della recessione alla luce del rapporto del Centro Studi Sintesi di Venezia su dati dell’Istat e del ministero dell’Economia. Un contribuente su otto vive con stipendi al di sotto dei parametri minimi necessari e in provincia, dalla Sardegna al Nord, non basta avere entrate fisse per considerarsi al sicuro. Rimini e Brescia, insieme a Barletta, sono tra le città in cui il reddito dichiarato è inferiore alla soglia media di povertà locale relativa. Il costo della vita più elevato e la crescita della disoccupazione mettono in difficoltà le famiglie. Tra le metropoli, Roma e Napoli fanno meglio di Milano e Torino.
NON PROFIT
ITALIA OGGI – Apertura in prima pagina “Nuove Regole sul non profit” dedicato alla redazione dei rendiconti del terzo settore approvato ieri dal tavolo tecnico costituito tra i commercialisti, l’Agenzia per il terzo settore e l’Organismo italiano di contabilità. Secondo l’approfondimento a pag 33 “Non profit come le imprese” le associazione del terzo settore dovranno applicare nei bilanci i principi di continuità e competenza economica, similarmente a quello che accade alle imprese private. «Vale a dire» spiega il quotidiano dei professionisti «rilevare costi e ricavi non all’atto dell’incasso e del pagamento ma nell’anno in cui forniscono la loro utilità». Il documento sarà in vigore dal 31 dicembre 2011 «rappresenta le fondamenta del modello contabile che governerà la comunicazione economico-finanziaria di associazioni, fondazioni comitati, enti e imprese che operano nel sociale».
VITA
ITALIA OGGI – L’intervista “Ragazzi, se volete imparare la bellezza salite su un palco”alla regista Manu Lalli pubblicata su Vita la scorsa settimana, è piaciuta ad ITALIA OGGI, tanto da riportare un passo del pezzo nello spazio Periscopio, ovvero una mini rassegna stampa dedicata a frasi, aforismi e pezzi di interviste brillanti apparsi su varie testate italiane.
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