In queste ore ho letto e riletto il discorso di Barack Obama al Parlamento ghanese, nel corso della sua prima visita ufficiale, sabato scorso, come presidente Usa in un Paese dell’Africa Subsahariana. Per carità, ha parlato come solo lui sa fare, toccando il cuore della gente, dicendo cose verissime, ma devo confessare che non mi ha soddisfatto come avrei voluto. Ok, qualcuno penserà che sono un disfattista, che la mia è una voce fuori dal coro, ma sono sincero: avrei preferito che il nuovo inquilino della Casa Bianca giocasse davvero a carte scoperte. Provo a spiegarmi meglio. Ad Accra ha sì profuso, con voce carica di enfasi e commozione, le sue conoscenze sul “tragico passato che a volte ha ossessionato questa parte del mondo”, perché nelle sue “vene scorre il sangue dell’Africa” e la storia della sua “famiglia comprende sia le tragedie sia i più grandi successi della storia africana”. Ma questo non basta. Gli Stati Uniti in questi ultimi anni hanno davvero fatto disastri in Africa, a partire dai tempi dell’ex presidente congolese Mobutu Sese Seko. Per non parlare delle ingerenze in regioni strategiche come quella dei Grandi Laghi o del Corno d’Africa. Fa presto Obama a dire che “la storia è dalla parte degli africani coraggiosi, non di quelli che usano i colpi di Stato o cambiano la Costituzione per restare al potere. Per troppo tempo, per troppi africani, i conflitti sono stati un elemento della vita, costanti come il sole”. Verissimo, ma in tutte queste vicende chi era che corrompeva i famigerati “presidenti- padroni” per fare affari sporchi? Qui varrebbe la pena ricordare che la corruzione prevede sempre due complici: colui che intasca il denaro (inteso come soggetto richiedente sul mercato dell’illecito) e colui che lo consegna (il cosiddetto offerente). Ora se il computo delle ruberie integrasse non solo la “domanda”, ma “anche la dimensione dell’offerta”, la graduatoria dei Paesi con un alto indice di corruzione sarebbe assai diversa da quella che viene pubblicata sui giornali e vedrebbe in testa nazioni con alti standard di democrazia come gli Stati Uniti, la Svizzera e la Gran Bretagna. A questo proposito inviterei a leggere quello che scrive un certo John Christensen direttore di “Tax Justice Network” (London Review of Books – John Christensen reviews Raymond Baker’s Capitalism’s Achilles Heel). Non voglio naturalmente fare il disfattista, anche perché nei confronti del suo predecessore George W. Bush, il signor Obama è un genio della politica. Dico solo che non è sufficiente dire ai giovani africani di chiedere conto ai loro “leader di quanto fatto e di esigere che siano create istituzioni al servizio della gente” perché quei leader in molti casi non li hanno scelti gli africani, ma sono la risultante di inciuci a non finire, inclusi quelli realizzati a tavolino da certe cancellerie che pretendevano d’esportare la democrazia con l’uso delle armi, proprio come è successo inSomalia. Sul fatto poi che l’Africa rappresenti un’opportunità per i Paesi industrializzati come gli States, lo dimostrano a chiare lettere i dati dell’Unctad, l’agenzia delle Nazioni Unite preposta allo studio dello sviluppo e del commercio, (resi noti nel settembre del 2008) secondo cui l’Africa Sub-Sahariana è stata in vetta alle classifiche degli investimenti stranieri nel 2007, per l’immenso patrimonio energetico che essa possiede. Anche se poi tale fenomeno ha acuito a dismisura le “privatizzazioni”, una parola questa che in Africa è divenuta sinonimo di “svendita” delle risorse. La visita di Obama in Ghana, al di là dei discorsi illuminati sullo sviluppo e la governabilità, ha certamente avuto dietro le quinte anche questa valenza, quella cioè di contrastare, a livello continentale, lo strapotere cinese sul versante delle fonti energetiche. Naturalmente i soldi da soli non bastano a costruire un nuovo ordine mondiale, soprattutto in un tempo di crisi dei mercati come quella in corso. È necessaria pertanto una riforma del commercio, come auspicato dallo stesso Obama e dagli altri leader del G8 a L’Aquila, che comprenda una soluzione positiva dei negoziati del “Doha Round”. A questo punto, prima di credere che Obama innescherà magicamente dei veri e propri cambiamenti, vorrei prendere le sue dichiarazioni con il beneficio d’inventario. Voglio insomma vedere alla prova dei fatti, quello che effettivamente farà per stabilire un sistema di scambio delle merci con l’Africa non solo “libero”, come chiedono a Wall Street, ma anche e soprattutto equo e solidale. Il Papa ha espresso questo auspicio nella sua ultima enciclica perché è in gioco la morale, la più sovrana delle questioni. Cari amici lettori di questo blog, Obama ha una grande responsabilità: nel continente dei suoi “avi” sono davvero in molti a fidarsi di lui, sognando un “Rinascimento Africano” … Ma questo non basta. Prima di esprimere giudizi sul nuovo corso della Casa Bianca in terra africana, bisogna vedere quali saranno le scelte politiche concrete della sua amministrazione.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.