Mondo
«Obama dovrebbe fare di più»
L'appello di monsignor Pierre Dumas, presidente di Caritas locale, al Nobel per la pace
Presso la Comunità di Sant’Egidio, si è svolto un incontro con monsignor Pierre Dumas, presidente di Caritas Haiti, che ha descritto la situazione dell’isola, avanzato alcune proposte per la ricostruzione e lanciato un appello a Barack Obama.
180mila morti. 200mila persone ancora non rintracciate. 195mila feriti. Un milione di persone rimaste senza tetto. 3,5 milioni di persone colpite in modo indiretto dal sisma. Un numero imprecisato di bambini soli. Circa 100mila donne incinte. Nessun ospedale rimasto in piedi. Nessuna chiesa è rimasta intatta nel centro di Port au prince. Il 75% degli edifici della capitale crollato (una percentuale che a Leogane sale al 90%). È un quadro difficile quello tracciato da monsignor Pierre Dumas. Ecco i passaggi più importanti del suo intervento.
Un popolo di sfollati
«C’è una enorme pressione sulle altre città dell’isola da parte di centinaia di migliaia di sfollati. Il paese, già debolissimo, in questo momento non esiste più. L’haitiano si sente umiliato, abbandonato. Eppure il popolo è rimasto pacifico, nonostante non ci siano più le prigioni e circa 5mila detenuti siano a piede libero e il fatto che la polizia abbia perso più della metà del suo effettivo».
Gli aiuti
«Gradualmente il problema dell’acqua sta risolvendosi. Manca ancora cibo e non c’è denaro contante: le banche sono state distrutte. Ciò detto, non si può militarizzare l’aiuto umanitario. E nemmeno burocratizzarlo. Ciascun paese metta a disposizione le sue competenze. Ognuno trovi il proprio posto. Diffonda le sue conoscenze. Per esempio in materia di costruzioni antisismiche. Nessun paese deve pensare di metter da parte altri paesi».
Le polemiche
«Davanti ai cadaveri, non è tempo per fare polemiche. Haiti chiede in questo momento molta solidarietà, molta compassione. Chiede di essere accompagnata. Non vuole che si faccia al posto suo. Occorre fare con questo popolo, evitare le polemiche che non aiutano. Mi riferisco alle polemiche per le adozioni, a quelle per la mancanza di presenza effettiva del governo haitiano. In questo momento bisogna aiutare questo paese a essere protagonista della storia».
La sfida
«La sfida che il mondo intero ha di fronte a sé è la seguente: come aiutare un fratello minore che vive questo dramma? Non si devono dare risposte al posto degli haitiani. Occorre dialogare con la società civile di Haiti, con le chiese locali, con la Caritas locale. La carità si faccia intelligente, rapida, efficace e coerente».
La ricostruzione
«Crollati i simboli – il palazzo del presidente, quello del governo, la Cattedrale – occorre ricostruire un mondo che non c’è più. È l’occasione per ripartire con un nuovo modo di vedere le cose e nuovi simboli che unifichino. Per ricreare un mondo più umano e rispetto. Spero che la crisi ci spingerà a guardare più alle cose che uniscono che a quelle che dividono, come diceva Giovanni Paolo II».
Coinvolgere il popolo haitiano
«Si devono identificare gli attori locali e ascoltare i loro desiderata. Haiti ha bisogno di accompagnamento ma il popolo deve essere un soggetto capace di prendere in mano il suo destino. Per questo occorre coltivare il com-patire».
No alle adozioni irregolari
«Bambini ,donne incinte, persone anziani: sono le persone verso le quali occorre esercitare una maggiore compassione. Senza gli altri non ce la fanno ad andare avanti. In particolare i bambini, che hanno perso tutti. Anche per le adozioni, c’è modo e modo. Lancio un appello perché l’uomo sia posto al centro: il rispetto che si deve alla persona umana deve esserci anche in questo momento. In questo senso non incoraggio nessuno ad adottare senza documenti: bisogna rispettare le norme. Nessuno può approfittare di questo dramma per fare traffici. Sarebbe una grande pazzia. Bisogna rispettare la dignità di questi bambini».
L’appello a Obama
Il governo americano ha fatto molte cose. In Florida per esempio gli ospedali statunitensi curano i malati haitiani sostenuti dal governo federale. Per la loro prossimità geografica, gli Stati Uniti potrebbero fare molto di più. In questo senso mi rivolgo al premio nobel per la pace, presidente Obama. Perché metta il suo peso sulla bilancia in modo che si renda l’aiuto effettivo e in grado di raggiungere il popolo haitiani. Bisogna ritrovare il lato umanitario dell’aiuto».
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