Mondo

O il dazio o la vita

Secondo le ong, i nuovi accordi di partenariato economico provocheranno nei Paesi Acp perdite per 9 miliardi di dollari. E in molti si chiedono: sono aiuti o inganni?

di Joshua Massarenti

Da Bruxelles
Epa, atto secondo. Dopo la scadenza del 31 dicembre 2007, in molti si sono chiesti che fine avrebbero fatto i 78 Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) nel caso avessero firmato con l?Unione europeo i nuovi Accordi di partenariato economico (Ape, meglio noti con l?acronimo anglosassone Epa). Per Bruxelles, la firma degli accordi avrebbe inaugurato una nuova era di liberalizzazione degli scambi commerciali fra Ue e Acp con l?obiettivo annunciato di favorire l?integrazione regionale e lo sviluppo nelle aree Acp. Al contrario gli interlocutori dell?Ue, coadiuvati da una società civile estremamente combattiva sul dossier Epa, hanno sempre denunciato le conseguenze nefaste di accordi sospettati di accelerare più che altro la penetrazione dei prodotti europei nei mercati Acp a scapito delle produzioni locali.

Alla vigilia della XII sessione dell?Unctad, la Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo tenutasi ad Accra, in Ghana, tra il 20 e il 25 aprile scorsi, Oxfam ha presentato l?ennesimo rapporto critico nei confronti degli Epa. Nel documento intitolato Partnership o gioco di potere? la ong internazionale calcola che i nuovi accordi di partenariato economico provocherebbero nei Paesi Acp una perdita secca pari a 9 miliardi di dollari sui diritti doganali da qui al 2012, mentre per i Paesi africani il crollo delle entrate fiscali derivanti dai dazi imposti sui prodotti europei ammonterebbe a 360 milioni di dollari annui.

La svolta del 31 dicembreFino al 31 dicembre scorso, gli scambi commerciali fra Ue e Acp erano regolati dagli Accordi siglati nel 2000 a Cotonou (Benin). Nel tentativo di rendere equilibrati rapporti totalmente sproporzionati sul piano economico, tali accordi consentivano ai Paesi Acp di esportare i loro prodotti (agricoli e non) sui mercati europei con tariffe preferenziali rispetto ai concorrenti asiatici o sudamericani. Viceversa, mantenendo dazi doganali elevati, ad Africa, Caraibi e Pacifico si offriva la possibilità di proteggere i loro mercati da prodotti europei nefasti per i produttori e le industrie di trasformazione locali. Ma era chiaro che tali ?privilegi? non sarebbero durati in eterno.

Su pressione del Brasile e di altri Paesi emergenti, il Wto, l?Organizzazione mondiale del commercio, ha imposto all?Ue e agli Acp di mettersi in linea con le regole commerciali internazionali ponendo fine al regime tariffario preferenziale entro il 31 dicembre 2007. Da qui l?aut aut imposto da Bruxelles ai Paesi Acp: o firmate gli Epa entro quella data – e la liberalizzazione dei nostri scambi si farà in maniera graduale (fino al 90% entro i prossimi 25 anni) e senza che i vostri prodotti più importanti vengano aggrediti («una menzogna», secondo le ong)- oppure rifiutate. In questo caso, alle vostre esportazioni saranno imposti gli stessi dazi doganali cui devono sottostare le merci provenienti degli altri Paesi emergenti.

Nonostante un pressing forsennato durato tutto il 2007, a oggi soltanto 35 Paesi Acp hanno accettato gli Epa firmando accordi bilaterali parziali giuridicamente non vincolanti (ad eccezione dei Caraibi che hanno siglato un Epa regionale). Nel concreto, i governi firmatari hanno dato un accordo di principio per liberalizzare gli scambi sui prodotti agricoli, lasciando aperta la possibilità di rinegoziare la trattativa prima della firma di accordi definitivi e completi (che comprendono i settori dell?industria, dei servizi, gli investimenti etc.). Tra i governi non firmatari, quelli classificati nella categoria dei ?Paesi meno sviluppati? (Ldc) godono di una clausola prevista dal Wto – l?iniziativa Tutto salvo le armi (Tsa) – che consente di accedere liberamente ai mercati europei mantenendo dazi doganali elevati nei confronti dei prodotti importati dall?Ue.

Per gli altri, sono guai. Il Senegal, fortemente contrario agli Epa, rischia di perdere alcuni milioni di dollari sui gamberi esportati a prezzi competitivi da Argentina e Brasile, mentre le perdite dei produttori di tabacco in Malawi sono stimate a tre milioni di dollari a favore delle esportazioni americane sovvenzionate. Ma la scelta dell?Ue di abbassare le tariffe doganali su alcuni prodotti come il tonno (dal 24 al 7%) metterà a dura prova anche quei Paesi a reddito intermediario che hanno firmato gli Epa (è il caso, per esempio, della Papua Nuova Guinea).

Trasparenza dove sei«Volendo imporre accordi iniqui a tutti i costi», spiega a Vita Jean-Jacques Grodent, della ong belga Sos Faim, «l?Ue ha finito per tradire gli obiettivi che si era fissata con gli Epa». Per favorire i rapporti commerciali tra i Paesi di una regione e rendere quest?ultima più attraente agli investitori europei, «Bruxelles aveva puntato molto sull?integrazione regionale. Ma guardiamo cosa accade in Africa occidentale: Costa d?Avorio e Ghana sono gli unici Paesi ad aver firmato gli Epa». Risultato? «Anziché unirsi, i governi si stanno dividendo. La Nigeria ha minacciato di chiudere la frontiera con la Costa d?Avorio per paura di veder sbarcare sul proprio mercato prodotti europei a basso costo». Non bastasse, «i compensi finanziari previsti dal decimo Fondo europeo di sviluppo per gli Epa sono lungi dall?essere trasparenti. Sugli oltre 22 miliardi di euro promessi dai 27 Stati membri tra il 2008 e il 2013, circa due miliardi sono destinati ogni anno a titolo di aiuti commerciali (e solo a partire dal 2010). «Purtroppo», fa sapere una fonte interna molto vicina al dossier, «nessuno sa il modo con cui questi soldi saranno gestiti, né a quali settori e Paesi saranno destinati».

Un?opacità totale, quindi, che contrasta con la chiara volontà dei commissari Mandelsson e Michel (rispettivamente responsabili del Commercio e dello Sviluppo/Affari umanitari) di voler completare gli accordi presi con i 35 Paesi firmatari entro il prossimo mese di luglio e convincere i più reticenti a sottoscrivere gli Epa entro il 2009.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.