Famiglia

Nuove frontiere/2. Affidi 0-24 mesi. Qui Torino, porte aperte a 200 neonati

Caterina e Tommaso sono stati i pionieri, nel 1995. E avvertono: "Bisogna essere preparati, perché i più piccoli ti fregano".

di Daniela Verlicchi

Quando se n?è andata Giorgia, la bimba di due mesi che assieme al marito Tommaso aveva preso in affido, a Caterina hanno iniziato a far male le braccia: è un dolore ?fisico? quello che lasciano i neonati in affido. A Torino, oltre 100 piccolissimi (0-24 mesi) con genitori tossicodipendenti o affetti da disturbi psichici, hanno trovato una famiglia nell?ambito del progetto Affido neonati. Caterina e Tommaso hanno fatto da apripista, nel 1995. Oltre a Vincenzo, il loro primogenito, negli anni nella loro casa di Chivasso, alle porte di Torino, hanno accolto 20 bambini in affido, 2 dei quali da neonati.
Vita: Come mai quell?ottobre 1995 l?assistente sociale ha scelto voi?
Caterina: Avevamo già esperienza di affidi e figli già grandi: per prendere in affido un bimbo bisogna essere contenti, né troppo sensibili, né troppo ?cerebrali?, e con i neonati occorre essere ancora più preparati, perché i neonati ti fregano.
Vita: Cioè?
Caterina: Sono tutta ?carne?: crescono tra le tue braccia. Ti senti importantissima per loro e loro lo diventano per te. Poi se ne vanno.
Vita: Quando ha visto Giorgia per la prima volta?
Caterina: Siamo andati a prenderla in ospedale: ha passato i primi due mesi della sua vita lì, pur essendo sanissima, perché aveva una mamma alcolista con gravi disturbi psichici. Era ora che uscisse.
Vita: Quali difficoltà avete incontrato all?inizio?
Caterina: Giorgia non giocava: mangiava e dormiva e io dovevo inventarmi cose nuove per stimolarla. Poi, tre volte alla settimana, c?erano gli incontri con la mamma: non erano semplici. Dovevamo portarcela noi e così poi non abbiamo più potuto avere contatti con Giorgia dopo che è stata adottata (le due cose si escludono per legge). Ora non è più così, gli incontri con le famiglie d?origine li gestiscono gli assistenti sociali del Comune.
Vita: Come far capire a Giorgia che era un?esperienza «a tempo»?
Caterina: È stata la cosa più difficile: parole non ne potevi usare. Ci siamo inventati un piccolo ?rituale? da metter in scena quando andavamo a trovare la mamma: preparavamo tutto nei minimi particolari, la vestivamo di tutto punto, le mettevamo le scarpine nuove.
Vita: Lei ha potuto prendere il congedo di maternità?
Caterina: Sì, sono rimasta a casa quattro mesi. Con buona pace di una mia collega che non ha perso l?occasione di lamentarsene.
Vita: Come si fa a lasciarli andare?
Caterina: Abbiamo raccolto tutti i giochi e i vestiti di Giorgia in uno scatolone (anche la tutina gialla di quando è arrivata) e abbiamo scritto una lettera ai nuovi genitori: un modo per valorizzare anche quel breve tratto di vita insieme. Il distacco è duro, ma è proprio questa la sfida dell?affido. Se hai paura di amare a tempo, non inizi nemmeno.


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