Famiglia

Nuove famiglie vs famiglie tradizionali: quell’io che manca a entrambe

«Ragionare sull'attualità politica dalle unioni civili, alle manifestazioni fino alla stepchild adoption, spesso genera disagio per l'incapacità di offrire spunti di giudizio che tengano conto di tutto quanto c'è in gioco». L'analisi della costituzionalista della Statale di Milano, Lorenza Violini

di Lorenza Violini

Quasi inavvertitamente, la rivoluzione tecnologica che ha investito i processi riproduttivi della vita umana nella forma della fecondazione assistita e di tutto quanto gravita intorno ad essa sta coinvolgendo tutti gli aspetti della vita sociale e ha toccato, fino a scardinarlo, uno dei pilastri su cui per secoli la società si è retta, cioè la famiglia, quella che oggi viene comunemente chiamata la famiglia tradizionale, affiancando ad essa nuove forme di vita familiare, profondamente diverse nei loro aspetti fondamentali, primo fra tutti l'eterosessualità.

Tale cambiamento epocale è stato accompagnato e forse anche favorito da un radicale mutamento del pensiero sull'uomo, caratterizzato da una visione della persona come essenzialmente determinata dalla sua libera volontà, senza riferimenti previ alla natura, agli scopi che ogni essere umano è chiamato a perseguire, a principi morali quali il bene e il male come elementi di orientamento dell'azione.

E, così, oggi, ragionare sull'attualità politica del nostro Paese (le unioni civili, le manifestazioni pro e contro la famiglia tradizionale, la stepchild adoption, eccetera) spesso genera una sorta di disagio per l'incapacità drammaticamente percepita di offrire spunti di giudizio che tengano conto di tutto quanto c'è in gioco.

Quali i fattori di questo panorama? Si può sommariamente provare ad elencarli così come li si percepisce confusamente presenti in noi e negli altri, spesso così profondamente intrecciati che risulta difficile metterli a fuoco. E tuttavia si tratta di uno sforzo da fare, visto che da esso dipende poi la capacità di orientarsi in questo nuovo scenario.

Il primo elemento è la necessità di sgombrare il campo ad equivoci di tipo moralistico: la difesa della famiglia tradizionale, che è pure un nobilissimo scopo, non può generare (o anche solo favorire) negli interlocutori la percezione che si sia a favore di una sorta di ghetto da cui tenere fuori altri che non la pensano in questo modo. La naturale simpatia umana che sta alla base della convivenza civile rischia infatti di essere intaccata da prese di posizione che possono essere percepite come giudizi sulla bontà o meno di certi comportamenti (ad esempio l'omosessualità praticata), mentre è ovvio che nessuno può essere discriminato per concezioni o pratiche diverse da una vera o presunta maggioranza.

Se questo è vero, ne discende — come secondo fattore — che il piano su cui entrare nel discorso pubblico va modificato e portato al fondo: non basta infatti porre il problema della famiglia, dei suoi componenti, dei suoi diritti da diversificare a seconda delle tipologie familiari (tutte questioni non banali, ovviamente, ma da contestualizzare); occorre invece, ad esempio, mettere in luce le condizioni concrete che possono favorire la permanenza delle relazioni, la tanto sbandierata stabilità che differenzierebbe la coppia etero dalle coppie omosessuali e che permetterebbe di creare per i figli un ambiente adatto alla crescita e alla maturazione.

Il terzo elemento, che è ad un tempo anche una difficoltà, deriva dal fatto che questo cambio di passo non è primariamente relativo al discorso pubblico. È il soggetto umano, l'io, che è chiamato a riandare alla problematiche fondamentali che determinano l'esistenza personale e collettiva, al proprio desiderio e alle condizioni che lo tengono vivo, fonte di azione buona e di relazioni non adulterate. È nell'io che si radica la riflessione sui temi che occupano l'attualità, alla ricerca di elementi che possano essere giocati sulla piazza pubblica con coerenza ed efficacia.

In questo senso, momenti pubblici che lascino nella penombra questi elementi primigenii, dandoli per acquisiti, in un contesto che invece li nega o li considera superflui o fuori luogo, possono facilmente essere equivocati, generando divisioni, opposti schieramenti, incomunicabilità.

È sbagliato frequentarli? Non necessariamente. E ciò soprattutto se lo si fa con piena consapevolezza della natura e della profondità del problema, che non si esaurisce dentro il tema, pur rilevante, della definizione legislativa ma che tocca la radice stessa della concezione dell'uomo e del suo destino, del suo cammino al vero e al suo pieno compimento. Ed è interessante, per entrare nel vivo delle questioni, avere esempi da guardare. Oggi affermare la verità non può che andare di pari passo con la testimonianza, che è sempre personale, uno sguardo al tu che si incontra, come ben mostra papa Francesco, il cui messaggio tocca le coscienze perché si riconosce in lui un'inattesa capacità di abbracciare tutti, senza distinzioni e senza preconcetti.

La capacità di incidere sul discorso pubblico nasce dallo sguardo a quest'uomo, ascoltato ed amato da tutti gli uomini di buona volontà e a tutti coloro che, con lungimiranza, ce ne mostrano la pertinenza ultima alla nostra vita personale.

Pubblicato su IlSussidiario il 24 gennaio 2015

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