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Nuova Libia, ma gli sbarchi non si fermeranno
Dopo la sconfitta elettorale dei Fratelli Musulmani e la vittoria del "laico" Jibril cosa cambierà nel Paese che fu di Gheddafi. Lo abbiamo chiesto a Dario Festa, cooperante del Cesvi a Benghazi
di Randa Ghazy
A più di un anno dallo scoppio di quella che i media occidentali hanno definito la “Primavera araba”, mentre in Egitto e Tunisia la politica si è colorata di “verde islam”, le elezioni libiche ci hanno riservato una sorpresa di “respiro” laico. L’Alleanza delle Forze Nazionali di Mahmoud Jibril (nella foto di apertura) ha conquistato la maggioranza relativa in parlamento, vincendo 39 seggi contro i 17 ottenuti dal Partito della Giustizia e della Costruzione, affiliato ai Fratelli Musulmani. Felici i sauditi, che nel loro principale quotidiano, al-Sharq al-Awsat, hanno parlato di “immunità della Libia” all’ascesa islamica, temendo la diffusione transnazionale di un movimento di ispirazione popolare come la Fratellanza musulmana. Felici gli occidentali, che vedono la vittoria di Jibril, definito dai suoi connazionali proprio come “l’occidentale”, come un’evoluzione rassicurante, dimenticandosi forse che fu un “gheddafiano” a tutti gli effetti, responsabile del programma di riforma economica negli ultimi anni del regime.
Ma qual è invece la percezione dei libici? E quali rimangono le emergenze nel paese?
Ne abbiamo parlato con Dario Festa, responsabile Cesvi in Libia, che si trova a Benghazi. Il Cesvi opera in Libia dal marzo 2011, quando fu lanciato un intervento umanitario per far fronte alla prima emergenza e alle necessità di aiuti agli sfollati interni e agli abitanti senza nazionalità libica. L’Ong italiana sta operando anche a sostegno del processo di democratizzazione del paese.
Parliamo di questo dopo-elezioni. Qual è la situazione?
Qui a Benghazi la situazione è abbastanza tranquilla,anche se il periodo preelettorale è stato piuttosto teso. Nelle grandi città come Tripoli e Benghazi si sta tranquilli, anche perché le elezioni si sono svolte regolarmente. Oltre ad esserci la soddisfazione da parte dei vincitori, è tutta la popolazione libica ad essere felice per quelle che sono le prime elezioni democratiche dopo più di 40 anni di regime.
Cosa è riuscita a fare CESVI per aiutare lo svolgimento regolare di queste elezioni?
Al momento abbiamo un progetto biennale cofinanziato dall’Unione Europea, gestito da un consorzio internazionale guidato dall’ONG francese ACTED che si occupa di dialogare con le Ong locali. In questo ultimo progetto abbiamo proprio realizzato corsi di formazione per preparare la popolazione al voto, spiegando a queste ong come informare e guidare i cittadini nelle pratiche di registrazione presso gli uffici elettorali, e sviluppando uno scambio di idee sull’importanza del voto. La maggior parte di queste ONG è nata durante la rivoluzione, o subito dopo. Le poche che c’erano durante Gheddafi erano del regime, o controllate dal regime, quindi l’obiettivo di questo progetto al di là del voto è soprattutto quello di favorire la crescita di tali ong, con una formazione ad ampio raggio.
La Libia è l’unico paese tra quelli che si sono rivoltati contro un regime dove gli islamisti non sono riusciti a sfondare alle elezioni. Come lo spieghi?
Effettivamente ci aspettavamo un successo dei Fratelli Musulmani, erano dati per favoriti, anche in considerazione del loro successo tanto in Tunisia quanto in Egitto. Probabilmente il partito di Jibril è stato premiato per il buon lavoro svolto in questo periodo di transizione, subito dopo la caduta del regime. E’ vero che la Libia è un paese musulmano dove gli islamisti hanno avuto un ruolo importante durante la rivoluzione, ma non ci sono movimenti particolarmente radicali o estremisti. Molti votano secondo affiliazioni claniche o tribali e non c’è una divisione netta islamici-laici.
Quali sono le principali aree di intervento, le emergenze maggiori?
Adesso con il conflitto alle spalle, l'emergenza principale riguarda migranti e rifugiati, anche Cesvi sta operando in questo settore offrendo assistenza medica nei centri di detenzione per immigrati illegali di Tripoli, ed offrendo assistenza economica e sanitaria a rifugiati e migranti ad est, Benghazi e dintorni.
Pochi giorni fa l'ennesimo barcone dalla Libia non ce l'ha fatta e 54 dei suoi 55 passeggeri sono deceduti prima di arrivare alle coste italiane. Continuano a partire? E la situazione è peggiorata dopo la rivoluzione?
Sì, i migranti continuano a partire e nei centri di detenzione ci sono molti minori, spesso non accompagnati, che magari viaggiano in gruppo, o con conoscenti. Sicuramente la situazione nel centro dove operiamo è molto dura, ma è difficile dire se le cose fossero molto diverse prima della rivoluzione. Nei centri di detenzione per immigrati illegali e richiedenti asilo, come quello di Gharyan a Tripoli dove proprio oggi iniziamo le nostre attività, le condizioni di vita e in particolare igieniche sono critiche, soprattutto con il caldo estivo. A Gharyan c’è già un ambulatorio aperto, ma in cattive condizioni. Noi del CESVI intendiamo contribuire a migliorarlo ed attrezzarlo.
E i campi di sfollati di Tripoli, lì intervengono altre criticità o c'è la medesima linea di intervento?
Svolgiamo un lavoro simile ma va detto che la situazione sta migliorando. Si tratta di cittadini libici che quindi hanno la possibilità di tornare lentamente alla normalità, se non alle loro case, in altre aree del paese. Per gli abitanti di Tawargha il discorso è un po' diverso. Non potranno tornare presso la loro città di origine, una buona parte andrà da familiari presso altre località. Altri rimangono sfollati perchè non sanno dove andare.
Il loro reinserimento sarà ostacolato per motivi etnici? C'è questo rischio, di una minore libertà?
Il discorso è un po' complesso. Riguarda gli abitanti di Tawargha, accusati di aver sostenuto il regime. Riguarda i Tibu, le tribù beduine di Khfrah, Ghadames, Sabha. Ci sono vari questioni etniche, politiche ed economiche coinvolte. Incluso il controllo del traffico di migranti. Di sicuro l’attacco a Tawargha è stata una vendetta per l’appoggio al regime, ma i suoi abitanti sono neri, mentre i beduini nomadi. Ad un certo punto è diventata anche una questione razziale, ma è difficile dire dove finiscono le questioni etniche e dove iniziano quelle economiche o politiche.
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