Cop28
Nucleare, la spaccatura tra nuovo e vecchio ambientalismo
Il nucleare per la neutralità climatica: con questa dichiarazione 22 Paesi hanno portato l'atomo al centro dell'attenzione, almeno per qualche ora, ai negoziati per il clima. I giovani attivisti di Fridays for Future: «Nessuna chiusura ideologica, ma è più efficace puntare sulle rinnovabili». Per gli ambientalisti storici invece nulla fa pensare al nucleare come soluzione percorribile
Ciclicamente, si torna a parlare di nucleare come soluzione per rispondere al fabbisogno di energia pulita. Accade, in questi giorni, dopo che 22 Paesi, tra cui Francia, Stati Uniti e Regno Unito, hanno dichiarato, alla Cop28 di Dubai, di voler triplicare la produzione dall’atomo entro il 2050. La questione, così, è entrata nei negoziati per il clima più che mai nel passato. Il nucleare, sostengono questi Stati, giocherà un ruolo fondamentale per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica e contenere l’aumento della temperatura a 1,5°C rispetto all’era preindustriale entro la fine del secolo, come previsto dall’Accordo di Parigi. Tra le richieste, c’è quella di attrarre maggiori investimenti per lo sviluppo del nucleare, che ha il pregio di non emettere gas serra.
Le associazioni ambientaliste storiche osservano che chi ancora promuove il nucleare non considera i costi crescenti, specialmente se confrontati con quelli, in picchiata, delle rinnovabili, oltre al problema irrisolto della gestione delle scorie radioattive. Hanno, invece, una posizione più possibilista gli attivisti di Fridays for Future, il movimento giovanile nato dagli scioperi per il clima di Greta Thunberg. «Non siamo né fortemente a favore né fortemente contrari, – spiega Marta Maroglio, attivista di FFF. – Non ci piace che il dibattito sul nucleare sia così polarizzato, perché distoglie l’attenzione dalla necessità di agire per fermare la crisi climatica. Non vogliamo dire no per un motivo ideologico: cerchiamo di analizzare i problemi e i benefici di questa fonte di energia. I tempi di installazione, che si aggirano attorno al decennio, sommati a quelli burocratici, non sono compatibili con la necessità di tagliare le emissioni di gas serra subito. Non possiamo più aspettare». Per FFF, in sintesi, il nucleare non può essere considerata una soluzione in Paesi come l’Italia, dove bisognerebbe partire da zero, ma dove invece sono in funzione i reattori, devono continuare a produrre energia a basse emissioni.
Vecchi e nuovi ambientalisti sono comunque d’accordo sulla necessità di puntare sulle rinnovabili, i cui costi e tempi di produzione permettono di entrare in funzione rapidamente. Aggiunge Maroglio: «Va considerato anche che il nucleare, come le fonti fossili, può essere prodotto solo con un sistema accentrato. La produzione di rinnovabili è più diffusa, democratica e giusta. Contribuisce a una società migliore, di pace. Spesso, dove ci sono grandi interessi nelle mani di pochi, scoppiano le guerre».
Per l’Agenzia internazionale per l’energia – Iea, il nucleare, che oggi conta 413 GW di potenza installata in 32 Paesi, può dare un importante contributo «per un’uscita più rapida e sicura dai combustibili fossili», accanto allo sviluppo di solare ed eolico. In Finlandia, lo scorso aprile, è entrata in funzione la centrale di Olkiluoto3, la più grande d’Europa, con potenza di 1,6 GW. Ci sono voluti 18 anni per costruirla, 14 in più dei quattro previsti, per problemi tecnici. I costi sono quasi quadruplicati, passando da 3 miliardi di euro a 11. Ora la produzione del reattore EPR di terza generazione avanzata, di produzione francese, dovrebbe coprire circa il 14% della domanda nazionale di elettricità. Nel frattempo, la Germania staccava la spina alle ultime tre centrali nucleari ancora in funzione: una battaglia portata avanti da sempre dai Verdi tedeschi.
In Francia, è ancora in costruzione, con un ritardo di oltre dieci anni, il nuovo reattore di terza generazione avanzata a Flamanville, che costerà, secondo le ultime stime, 13,3 miliardi di euro. Quando era stato annunciato, nel 2004, si prevedeva una spesa di tre miliardi. Sono 56 le centrali attive in Francia e in molte si sono riscontrati problemi di corrosione, tanto che la produzione nucleare oltralpe ha toccato il punto più basso da trent’anni nel 2022. Nonostante questo, pochi giorni fa la società di Stato, Électricité de France – Edf, ha dichiarato che costruirà almeno un nuovo reattore all’anno di qui al 2030.
«Il nucleare non si è mai davvero rinnovato, per questo continuo a dire le stesse cose da decenni. Oggi lo faccio per rispondere ai ragazzi di FFF, con cui pure sono sceso in piazza quando manifestavano per il clima, – afferma Massimo Scalia, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente e dei Verdi, già docente di Fisica Matematica all’Università La Sapienza di Roma. – Ricordo sempre che, poco prima di Chernobyl, la rivista Forbes dichiarò il nucleare “il più grande fallimento della storia industriale degli Stati Uniti”. Da anni la potenza dei nuovi impianti e il repowering di quelli esistenti bilanciano a stento le chiusure. La produzione degli usi finali dell’energia nucleare, ossia quando effettivamente si riesce a consumare, al netto del dispendio energetico, non arriva al 2%. È irrilevante in termini di risparmio di emissioni di CO2. Continuare a parlare di nucleare conviene solo a chi lo produce, in particolare allo Stato francese, che è riuscito addirittura a farlo inserire nella tassonomia verde dell’Unione europea».
Del nucleare cosiddetto di quarta generazione, al momento, non esistono soluzioni economiche o tecnologiche applicabili su larga scala. Per la fusione, invece, la ricerca continua. Non se ne parla almeno fino al 2050.
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