Non profit

Nove milioni di posti di lavoro

di Bernardino Casadei

Sarebbe questo l’impatto di lungo periodo delle erogazioni effettuate nel 2010 dalle fondazioni USA. Secondo un rapporto recentemente pubblicato da The Philantropic Collaborative i 37,85 miliardi erogati in quell’anno genereranno 8.888.624 posti di lavoro, $570,56 miliardi di PIL e $117,96 miliardi di entrate fiscali.

Non sono certamente in grado di valutare la correttezza delle elaborazioni che hanno permesso di raggiungere questi dati impressionanti, ma ciò che è certo è che esse dimostrano che la filantropia non è un semplice distribuire bende e cerotti, non è un’attività da finanziare con gli eventuali surplus che è necessario tagliare in momenti di crisi come pensa il nostro governo, al contrario la filantropia è sviluppo, la filantropia è un investimento prioritario in grado di generare ricchezza per la comunità ed entrate fiscali per la pubblica amministrazione.

Prendere coscienza dell’impatto della filantropia istituzionale diventa quindi una priorità. L’attività filantropica non solo genera un indotto come ogni attività economica, ma, proprio per le sue particolari caratteristiche, rappresenta un investimento in grado di creare valore sia in risparmi che in maggiore produttività. Si pensi solo all’impatto di lungo periodo delle attività volte a contrastare la dispersione scolastica. Da un lato esse riducono il rischio che questi ragazzi diventino dei disadattati con tutti i costi sociali, quando non addirittura criminali, che ciò comporta, dall’altro, permettendo loro di aumentare le loro competenze, creano le condizioni affinché il loro contributo al PIL e quindi anche alle entrate fiscali, possa essere molto più rilevante.

Proprio perché intervengono sulla cultura, la prevenzione, le esigenze fondamentali della persona umana, ossia sul capitale umano e quello sociale, i fattori produttivi più importanti per un’economia avanzata, gli investimenti in questo settore possono rivelarsi estremamente produttivi, ma per questo occorre sviluppare una visione che permetta di guardare al di là dell’effetto immediato dei beni e servizi direttamente prodotti dall’attività finanziata. Purtroppo questa visione è estremamente rara, sia da parte delle fondazioni, sia da parte degli enti operativi. Gli indicatori, quando ci sono, sono normalmente indicatori di output e gli stessi indicatori di outcome, peraltro quasi inesistenti, sono finalizzati a specifici obiettivi e quindi impediscono di cogliere gran parte del valore dell’iniziativa sostenuta.

Trovare il tempo di fermarsi per cercare di capire il reale impatto sociale del nostro agire è invece fondamentale per almeno quattro ragioni:

1) ciò permette al nostro mondo di prendere coscienza del proprio valore superando quell’atteggiamento di subordinazione culturale che spesso contraddistingue un settore che si auto definisce in termini negativi (non profit, non governativo) o neutri (terzo);

2) ci offre argomenti convincenti per spiegare ai nostri interlocutori perché non solo è giusto, bello e coinvolgente investire sul nostro lavoro, ma è anche opportuno;

3) ci aiuta a sviluppare quella visione prospettica che è condizione indispensabile per elaborare una strategia in grado di aiutarci a cogliere ciò che è veramente importante, così da indirizzare meglio i nostri sforzi;

4) ci consente di definire gli ambiti di collaborazione, individuando quegli interventi che non possiamo realizzare in prima persona, ma che sono fondamentali per il successo della nostra attività, creando così le condizioni per la creazione di quelle reti che tanti invocano, ma che troppo spesso si riducono a meri stratagemmi per ottenere minimi vantaggi gestionali.

Penso che sia proprio quest’ultimo il punto più importante. Per rimanere nell’ambito della dispersione scolastica, un conto è offrire un ottimo servizio dalle 13 alle 17, un conto è sapere che quel ragazzo potrà contare di tutto il supporto di cui ha bisogno per sviluppare a pieno le proprie potenzialità, ma perché questo secondo e più vero obiettivo possa essere conseguito, è indispensabile creare una comunità che si coordini e questo coordinamento, che costa lavoro e impegno e quindi finisce inevitabilmente per aumentare il costo per unità dell’attività realizzata, potrà essere realmente perseguito solo quando ogni operatore sarà convinto che senza di esso il suo lavoro sarà vanificato.

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