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Noury (Amnesty): «Salute? Da diritto a privilegio: il Coronavirus non discrimina, i governi sì»
«Il diritto alla salute», dice Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia, «chiama in causa un altro diritto che dovrebbe essere universale e non lo è: quello ad un alloggio adeguato. Manca una risposta complessiva e coordinata che ci auguriamo arrivi ma “andrà tutto bene” è una frase già vecchia di un mese. Il diritto alla salute è diventato un privilegio per pochi e un diniego per altri»
di Anna Spena
Il diritto alla salute, che dovrebbe essere universale, non lo è. E il Coronavirus ci mette davanti a questa ennesima e inaccettabile evidenza. E lo fa “a casa nostra” perché l’emergenza non è lontana e non la si può nascondere come polvere sotto il tappeto. Ci riguarda tutti e pur chiusi nell’isolamento necessario delle nostre case, è bene non dimenticare chi una casa invece non ce l’ha. «Il diritto alla salute», dice Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia, «chiama in causa un altro diritto che dovrebbe essere universale e non lo è: quello ad un alloggio adeguato. Il diritto alla salute è un diritto universale, che dev’essere garantito a tutti a prescindere dalla loro condizione, status od origine. Nel momento in cui le autorità italiane, opportunamente, invitano la popolazione a rimanere in casa, è necessario che sia garantito un altro diritto fondamentale: quello a un alloggio adeguato».
In Italia sono oltre 50mila le persone che vivono in strada in situazioni di estrema precarietà, isolatamente o in quelli che potrebbero essere definiti assembramenti di necessità. La loro salute è a rischio, così come la salute di tutte le persone che incrociano. «Abbiamo provato a sollecitare le amministrazioni comunali», continua Noury, «qualcosa si è mosso, qualcosa no. Manca una risposta complessiva e coordinata che ci auguriamo arrivi ma “andrà tutto bene” è una frase già vecchia di un mese. Se vogliamo davvero uscirne, se vogliamo che nessuno sia tagliato fuori, dobbiamo guardare all’interesse collettivo, non solo del singolo».
Insieme alla fascia di categorie più fragili della popolazione che oggettivamente non possono stare a casa perché una casa non ce l’hanno, c’è poi un’altra fascia di persone che la distanza di sicurezza di un metro per evitare un possibile contagio non la può rispettare perché si trovano in luoghi sovraffollati: «penso alle carceri italiane e non solo», spiega il portavoce di Amnesty, «come pure i centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti nei quali entrano ancora persone pur essendo chiaro che nessuna espulsione avverrà in tempi brevi. Come Amnesty abbiamo chiesto a tutti i governi del mondo di prendere misure universali tra cui la presunzione temporanea di innocenza per chi è in attesa di giudizio e gli arresti domiciliari per i detenuti anziani o malati».
Intanto sono moltissimi i campi profughi messi in stato di quarantena dai governi. «C’è questo paradosso per cui la salute collettiva si tutela impedendo la libertà di movimento di altre persone. Come sta succedendo in Bosnia Erzegovina o sulle isole greche nel Mar Egeo. Si impedisce alle persone di abbandonare questi luoghi, le si mette in quarantena mischiando però i sani con i contagiati».
Una soluzione c’è: «Abbiamo chiesto al governo greco per esempio di trasferire i 40mila profughi che vivono nei campi sulle isole: non c’è più la raccolta della spazzatura e sono stati interrotti i servizi all’interno dei campi. Le persone devono essere trasferite in strutture dov’è possibile mantenere le distanze di sicurezza come piccole case o alberghi dismessi. Capisco che è un’idea onerosa ma la risposa seria all’emergenza si vede da queste misure. In questi luoghi insalubri o per strada le persone non possono stare. Questa idea che le persone, o almeno certe persone, siano vite a perdere rinunciando alla loro salute per tutelare il diritto di altri ci dice che il diritto stesso alla salute è un diritto per pochi e un diniego per altri. Se la storia di questi mesi ci dirà che avremo sacrificato vite perché non si è garantito il diritto alla salute qualcuno dovrà poi fare i conti con questa storia e sarà chiamato a risponderne. Se c’è un’intenzione o solo una bozza d’intenzione di sacrificare la vita di qualcuno sarà la conferma una volta di più che se il coronavirus non discrimina nessuno i governi invece discriminano applicando il diritto alla salute a qualcuno sì e a qualcuno no».
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