“L’Italia è improduttiva“. “Il non profit paga poco“. Sono notizie diverse per tema, interlocutori, visibilità, ma accomunate da un medesimo destino: occludono il dibattito. Da cattocomunista fuori tempo massimo mi trattengo dal vizio di fare dietrologia andando a svelare trame e soprattutto tessitori che mirano volutamente a un simile obiettivo (sarebbero comunque tutt’altro che approssimativi). Ma non voglio neanche rifugiarmi dietro il paravento, decisamente osé, delle compressioni di spazio, della necessità di essere tempestivi e soprattutto di scambiare la chiarezza verso il lettore con l’approssimazione. Una collega mi faceva giustamente notare che Marchionne ha detto molte più cose nella sua intervista a Fazio e che l’inciso sul mancato valore aggiunto del paese al bilancio Fiat veniva alla fine di un ragionamento ben più esteso, complesso fin che si vuole, ma che meritiva un pò più di approfondimento. Lo stesso è successo per la recente indagine Sodalitas sulle retribuzioni nel non profit: che sono scarse, soprattutto nella cooperazione sociale, e all’origine di un turn-over in uscita di un capitale umano giovane e prezioso. Punto. Attenzione nulla (o poca voglia di approfondire… ops scusate il rigurgito dietrologico) per i dettagli metodologici, a margine fin che si vuole ma importanti. Ad esempio la rilevazione si basa su un campione piuttosto struminzito e molto stratificato al suo interno. Forse con un database più solido le cose sarebbero andate meglio, o forse anche peggio chissà. Onore a Sodalitas per il suo impegno tutt’altro che improvvisato e ideologico, ma proprio per questo il quadro meritava di essere completato. Si poteva alzare il telefono (o fare una ricerca su google) per trovare altri dati e riflessioni capaci di integrare, in parte confermando e in parte smentendo. E infine, pare esserci davvero poca voglia di ricercare soluzioni. O di stimolarle. Eppure, proprio il documento Sodalitas è utile allo scopo (direi soprattutto da questo punto di vista). Rimarca la rilevanza alle politiche di recruitment (nel non profit, dicono, si cercano persone e non professionisti), sottolinea i percorsi di carriera (perché è ai livelli intermedi e apicali che si evidenzia la forbice retributiva) e soprattutto assegna valore agli incentivi di natura non economica che tutti citano ma non si capisce bene in che cosa consistano e come possano diventare pratiche correnti di management nelle imprese sociali. Incentivi che non risolvono certo la questione dei mille o meno euro al mese, ma rappresentano comunque una leva essenziale per organizzazioni che possono usare solo fino a un certo punto la variabile economica (qualcuno ricorda che le cooperative sociali vengono da due rinnovi contrattuali consecutivi prima di infilarsi nel tunnel della crisi?). Beh forse faccio un pò difesa d’ufficio, lo ammetto. Ma un poco più di attenzione al carattere propositivo delle notizie servirebbe ad evitare ulteriori ostruzioni in un dibattito su una questione cruciale che però nessuno sembra volere davvero affrontare.
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