Non profit
Norvegia: come si mette fine alla dittatura delle slot machine
Nel luglio 2007, a fronte della proliferazione incontrollata di slot machine e giocatori d'azzardo, con una diseconomia e un disagio sociale oltre il livello di guardia la Norvegia prese una decisione politicamente rilevante che ha dato i suoi frutti: mettere al bando tutte le "macchinette" dal proprio territorio. Ancora oggi, quello norvegese si dimostra un modello praticabile, anche perché l'Europa non lo ha considerato contrario alle norme comunitarie
di Marco Dotti
La Norvegia ha rappresentato, e per molti versi ancora rappresenta, un caso di scuola nel sistema di liberalizzazione e divieti del gioco d'azzardo socialmente diffuso e praticato tramite macchine, il cosiddetto machine gambling.
Porsi correttamente un problema è il primo passo per uscirne
Anche se gli imprenditori italiani – e certi loro apparenti avversari – hanno paura di chiamarlo per nome preferendo astruse formule quali "mercato dell'alea", il pragmatismo nordico non si fa troppi problemi e chiama azzardo (gambling) l'azzardo, in ossequio a un sano principio di fenomenologia sociale: per affrontare un problema, il primo passo – quello determinante – consiste nel porsi il problema in termini corretti e proficui.
Se c'è confusione nella definizione dei problemi, le eventuali soluzioni proposte saranno nella migliore delle ipotesi all'altezza di quella confusione, non certo dei problemi stessi. È ciò che in greco chiameremmo aporia, ossia un vicolo cieco.
Nei primi anni del XXI secolo, a fronte di un'emergenza sociale crescente, in Norvegia il problema se lo sono posti considerando che, in un Paese con una densità abitativa di 15 abitanti per km quadrato, con 3 milioni di maggiorenni, avere più di 1/3 di questi maggiorenni dediti con assiduità al gioco d'azzardo e il 3% della popolazione complessiva (5.100.000) con problemi conclamati di patologie contratte tramite slot machine non fosse propriamente un dato trascurabile.
A questo problema, il governo norvegese ha risposto mettendo fuori legge dal 1˚ luglio 2007 tutte le slot machine attive sul territorio.
Non esistono via d'uscita semplici. Semplici sono i vicoli cieci
Il percorso non è stato lineare (qui lo semplifichiamo), anche perché dal 2003 la Norsk Tipping – azienda di Stato – aveva il monopolio nella gestione delle macchinette e una serie di ricorsi in sede europea si sovrapposero a quelli già pendenti, ma l'obiettivo è stato alla fine raggiunto.
Nel gennaio del 2009, dopo la fine dell'era delle slot machine (che sono macchine autonome, non controllabili, il cui "gioco" è stabilito in totale indipendenza da macchina a macchina e, di conseguenza, infinitamente manipolabile), la Norsk Tipping ha iniziato a installare terminali di gioco connessi a un server centrale, controllati nell'accesso, nella velocità, nella legalità e nella durata del gioco stesso. Piaccia o meno, un dato è certo: il fenomeno del rapporto perverso tra uomo e macchina non si è più presentato nella sua pervasività e drammaticità.
Le slot machine norvegesi messe al bando nel luglio del 2007 avevano caratteristiche molto simili a quelle oggi presenti in Italia:
1) il limite di età era di 18 anni (in molti paesi, al contrario, si preferisce alzare il limite a 21 anni);
2) nessun limite di spesa stabilito dalle regole generali;
3) nessuna pausa obbligata tra una partita e l'altra;
4) nessuna possibilità di introdurre limiti di spesa e tempo da parte del giocatore (autoregolamentazione);
5) giocata di 1,25 euro (oggi in Italia è di 1 euro a partita);
6) durata della partita 1,5 secondi (oggi in Italia è di 4 secondi frazionabili, il che riduce la partita a 1 secondo);
7) vincita massima di 250 euro;
8) nessuna macchina era collegata a un server centrale;
9) distribuzione libera sul territorio.
In particolare, l'assenza di un tetto al numero massimo di macchinette aveva portato – anche in presenza di un monopolio – ad avere circa 19.000 slot machines, su una popolazione complessiva di 5.100.000 abitanti.
In Italia, oggi, ne abbiamo 380.000 su una popolazione complessiva di 60 milioni di abitanti. Fatta la proporzione, in Italia siamo in rapporto più che doppio rispetto a quello già problematico della Norvegia prima del 2007.
Nel 2005, secondo i dati delle autorità norvegesi, il 22% dei cittadini (1.100.000) dichiarava di aver giocato alle slot machines nei 12 mesi precedenti. Nel 2010, i norvegesi che dichiaravano di aver giocato d'azzardo online o a uno dei nuovi terminali nel frattempo installati era sceso al 2%.
"L'offerta di gioco risponde alla domanda dei giocatori": falso!
I norvegesi che dichiaravano di giocare online su siti esteri corrispondevano al 3% della popolazione nell 2005 e al 4% nel 2010. Da queste percentuali, gli analisti hanno tratto la conclusione che, nel passaggio dalla fase liberista a quella del divieto, non si è registrata alcuna "migrazione" dei giocatori dalle slot machine all'azzardo online.
Il proibizionismo (parola cara agli opinio makers italiani) non ha generato alcun disvalore, tutt'altro. Le regole sono necessarie, è l'assenza di regole o la presenza di regole barocche a generare confusione e problemi.
Questa semplice considerazione basterebbe a smontare uno dei luoghi comuni più cari agli impresari dell'azzardo italiano, ossia: il "fatto" (in realtà un'opinione costantemente ripetuta, nella speranza che diventi "fatto") che esista un segmento più o meno grande della popolazione dedito alla passione del gioco e l'offerta di azzardo sia solo una risposta alla domanda che "naturalmente" emergerebbe dai giocatori. "Senza slot machine", si sente spesso dire anche in sedi istituzionali, "queste persone giocherebbero comunque, magari online".
Falso. Ma questo passaggio va capito a fondo, perché tra le sue pieghe si nasconde la partita decisiva delle retoriche messe in campo dalle imprese del settore, che investono energia e denari per nascondere che quella domanda di gioco è in realtà una domanda fortemente indotta e innescata esternamente attraverso procedimenti che vanno dall'induzione leggera attraverso tecniche di neuromarketing alla costruzione di dipendenze. Fenomeni, questi, tecnicamente definibili come "autopoietici": una volta innescati, si autoalimentano dando pertanto l'illusione che siano tanto più "naturali" quanto più ci si allontana dal punto di innesco.
Legalità come alibi: il caso della mafia baltica
La retorica dell'apertura si fonda quasi sempre sull'alibi della lotta alla criminalità: qui fu il caso delle 7.000 macchinette che si ritenevano in mano alla cosiddetta "mafia baltica". Parliamo di "alibi" non perché il problema della criminalità non esista, ma perché le "legalizzazioni" finiscono ovunque per offrire a quella stessa criminalità strumenti operativi nuovi per proseguire il medesimo business in forma perfettamente "legale".
In Norvegia (così come in Finlandia), l'esistenza di un monopolio statale e l'assenza di concessionari privati offrono però un argine più solido al fenomeno.
In realtà, le "legalizzazioni" finiscono ovunque per offrire a quella stessa criminalità strumenti operativi nuovi per proseguire il medesimo business in forma perfettamente "legale". In Norvegia (così come in Finlandia), l'esistenza di un monopolio statale e l'assenza di concessionari privati offrono però un argine più solido al fenomeno.
Il caso Norsk Tipping: dalla proliferazione delle slot a 1200 terminali
Il punto chiave della questione resta il monopolio e l'assenza di privati che operano nel settore (cosa che, in Italia, è oramai considerata la norma, attraverso il sistema delle concessioni).
In Norvegia, tutto si fondava e si fonda sulla Norsk Tipping, l'azienda di Stato per le lotterie. Fondata nel 1948, dipende dal Ministero della Cultura e ha un giro d'affari di circa 6 miliardi di euro l'anno (oggi, senza slot). Il 31% di questi fondi viene investito in cause benefiche del Terzo settore. Il 45% di questi investimenti va allo sport (un po' come il nostro Coni), il 36,5% in cultura e il 18% alla sanità.
La Norsk Tipping impiega oggi 370 persone e circa 4000 rivenditori. Il suo business è legato essenzialmente alle lotterie. Nel 2005, il 59% del suo giro d'affari era dato dalle slot machines, mentre nel luglio del 2007, alla data della messa al bando delle stesse, il giro d'affari era già sceso al 39%.
Oggi, il terminali IVT connessi a un serve centrale rappresentano il 12% del fatturato complessivo del gambling norvegese e, comunque, 1/5 del fatturato delle slot machines. In sostanza, si è scesi da 27 miliardi a una media di 4 miliardi di corone norvegesi l'anno, corrispondenti a circa 500 milioni di euro.
Oggi, i nuovi terminali installati in Norvegia sono 2750, in 1200 luoghi. Non si può giocare con denaro contante, il limite di età è sempre di 18 anni, e non è possibile spendere pià di 80 euro al giorno e 400 euro al mense. Ogni ora, la macchina si spegne e fa una pausa. Per giocare serve una tessera specifica.
Nel complesso, si stima che i giocatori abituali siano circa 70mila, 50mila dei quali uomini tra i 18 e i 50 anni, ma è mutata drasticamente la "popolazione" affetta da patologia: oggi, a chiedere aiuto sono soprattutto i giocatori di Bingo e lotterie.
Il Terzo settore in catene: la tassa di scopo
In Finlandia, dove slot e poker machine sono diffuse in ogni dove, i non pochi critici del sistema hanno a più riprese proposto una exit strategy improntata al modello norvegese. Perché non se ne è fatto niente? Perché è troppo stretta l'interconnessione tra azzardo tramite macchine e finanziamenti al Terzo settore. Una regolamentazione più restrittiva del primo, porterebbe a un collasso del secondo e minerebbe alla base l'intero sistema del finnish welfare.
Questo dato dovrebbe far riflettere i nostri decisori, quando affermano che sia necessario istituire una tassazione di scopo e è un "fondo Buone cause" – è il caso del DDL sul riordino del sistema che, in base all'articolo 14 della Legge Delega in materia fiscale, è in corso di elaborazione presso il nostro Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Se vogliamo riflettere di exit strategy e regolamentazione, dobbiamo evitare di introdurre nel sistema italiano la peggiore delle distorsioni possibili: la tassa di scopo, collante per costruire professioni che, solo in apparenza, contrasteranno il sistema. In realtà, lo renderanno più solido e, come accade per ogni politica dell'emergenza, creeranno una bolla occupazionale legata alle buone intenzioni che, presto o tardi, sarà destinata a esplodere.
Oslo, 16 marzo
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