Giustizia

Nordio disertore del garantismo

Nella relazione di ieri alla Camera e al Senato, il ministro della Giustizia ha dimostrato di non avere una chiara strategia per combattere il sovraffollamento nelle carceri e per migliorare le condizioni di detenzione. Eppure un anno fa il Guardasigilli affermava di voler «attuare, nel modo più rapido ed efficace, il garantismo del diritto penale». Trecentosessantacinque giorni dopo, di fronte ai suicidi e al disagio psichico dei detenuti, il ministro mostra la sua impotenza. VITA ha messo a confronto le sue parole di un anno fa e quelle attuali

di Ilaria Dioguardi

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio si dichiara, come un anno fa, «affranto dal fardello di dolore dei suicidi in carcere», afferma che il problema del sovraffollamento carcerario si risolverà solo quando il carcere avrà una «funzione rieducativa» e che il suicidio è «un fenomeno che esiste, diffuso in tutto il mondo». VITA ha messo a confronto le parole del Guardasigilli pronunciate un anno fa e quelle pronunciate ieri, in occasione della relazione sull’amministrazione della giustizia.

Le promesse di inizio mandato

Esattamente un anno fa, nel corso della relazione in Senato sull’amministrazione della giustizia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio affermava: «Realizzeremo la tutela della presunzione di innocenza della persona, assicurandone la dignità e l’onore durante le indagini e il processo. E, parallelamente, assicureremo la certezza della pena. Una pena che non coinciderà sempre e solo con il carcere, ma che sarà comunque afflittiva, certa, rapida, proporzionata e orientata al recupero del condannato, secondo il nostro dettato costituzionale».
Ieri, nella relazione sull’amministrazione della giustizia, prima alla Camera e poi al Senato, la funzione rieducativa è ritornata più volte nelle parole del Guardasigilli, che ha affermato: «Non riusciremo a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, della tensione all’interno del carcere, della presenza di violenze nei confronti della polizia penitenziaria, dei detenuti tra di loro, dei detenuti verso se stessi (che culmina nel suicidio) se non riportiamo il carcere a quella che è la funzione essenzialmente rieducativa». Per quanto riguarda il problema del sovraffollamento, il Ministero sembra essere un po’ in alto mare: «Stiamo cercando di capire come si possano trovare delle carceri (costruire un carcere in Italia è impossibile, in tempi brevi) utilizzando delle strutture dismesse, che possono essere le vecchie caserme o altre, che siano compatibili con la situazione carceraria e che diano lo spazio per lo sport e per il lavoro all’interno dell’istituto penitenziario».
Il governo ha stanziato 166 milioni di euro per finanziare 21 interventi di edilizia penitenziaria.

Nel 2024 già sei persone si sono suicidate in carcere. A queste morti vanno aggiunte le 14 catalogate come “morti per cause naturali”. 18 morti nei primi 14 giorni dell’anno sono il preannuncio di un andamento molto simile a quello del 2022, quando si contarono 84 suicidi nel corso dell’anno, otto nel mese di gennaio.
Il ministro Nordio un anno fa affermava: «Un altro problema è quel fardello di dolore che è costituito dai suicidi in carcere. Qui noi abbiamo e stiamo attuando tutta una politica, anche attraverso l’accordo con le regioni, gli enti locali e le strutture sanitarie, per evitare o quantomeno ridurre questo fenomeno che purtroppo è comune a tutte le parti del mondo ma che in Italia ha assunto soprattutto negli ultimi tempi dei toni di estremo allarme».
A un anno di distanza, nella relazione di ieri sull’amministrazione della giustizia, presentata prima alla Camera e poi al Senato, il Guardasigilli ha dichiarato di nuovo, come l’anno scorso, di essere «affranto dal fardello di dolore dei suicidi in carcere». Ha sottolineato che «quest’anno, per la prima volta, vi è una flessione, sia pure minima, di questi episodi drammatici, di circa il 15%. Non è una bella notizia, ma ci può incoraggiare nell’andare nella direzione giusta». I suicidi in carcere sono stati 84 nel 2022, 69 nel 2023.

Nel 2024 già sei persone si sono suicidate in carcere. A queste morti vanno aggiunte le 14 catalogate come “morti per cause naturali”

Un anno fa Nordio diceva che «oltre al miglioramento delle detenzioni detentive mediante l’aumento del numero dei posti disponibili e la conseguente diminuzione dell’indice di sovraffollamento nelle carceri, l’amministrazione si è posta l’obiettivo di dare un massimo impulso alla implementazione di spazi per le attività del cosiddetto “trattamento” nei confronti dei detenuti. Questo è orientato essenzialmente al lavoro». E ancora: «Stiamo attuando un progetto per assicurare il lavoro a chi esce dal carcere, attraverso la defiscalizzazione delle retribuzioni a chi ottiene l’impiego una volta espiata la pena», affermava il Guardasigilli. «È essenziale che all’interno del carcere vi sia questo sfogo del lavoro. È essenziale che a questa attività lavorativa all’interno del carcere segua un’attività conseguenziale, in modo che quando il detenuto esce, una volta espiata la pena, sappia di trovare un lavoro dignitoso e attui la “recidiva zero”. Il ministro Nordio dichiarava anche che le statistiche dimostrano che «quando una persona ha lavorato in carcere e fuori trova lavoro dignitoso, la recidiva è destinata a scomparire. Per quanto riguarda la giustizia minorile, l’obiettivo è quello di attuare il più possibile quella forma di giustizia di comunità o giustizia riparativa».

Le buone intenzioni e le iniziative concrete

Le buone intenzioni del Ministero sembravano (e sembrano) esserci, quello che sembra mancare sono iniziative concrete. Per il lavoro, ha detto ieri il Guardasigilli, «non cerchiamo soltanto di portarlo all’interno del carcere attraverso la funzione rieducativa del detenuto, cerchiamo di portarlo all’esterno, cioè di trovare un lavoro a chi domani venga liberato, e si possa smarcare da questo che il “marchio di Caino” della detenzione che ha sofferto e possa trovare un lavoro dignitoso, decoroso che elimini o riduca di gran lunga la possibilità di recidiva». Di nuovo, ieri Nordio ha fatto riferimento alle statistiche, dalle quali «sappiamo che se quando una persona esce dal carcere e non trova lavoro viene buttato sulla strada, prima o dopo ritorna a delinquere e ritorna ad aumentare il problema del sovraffollamento carcerario. Se, invece, viene educato al lavoro e riesce a ritrovarlo una volta liberato, questo rischio non viene eliminato ma viene di gran lunga ridotto».

La rivista dell’innovazione sociale

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti e funzionalità esclusive

«Che cosa intende fare il ministro per affrontare la drammatica emergenza in cui versa il sistema carcerario italiano a causa del sovraffollamento e della carenza di risorse umane?». 

A chiederlo ieri è stata Maria Chiara Gadda, vice-presidente di Italia Viva alla Camera, nel corso del question time con il ministro della Giustizia Carlo Nordio. «Nei primi 15 giorni del 2024 sono deceduti 20 detenuti, sei si sono suicidati. Tra pochi giorni l’associazione Nessuno tocchi Caino inizierà uno sciopero della fame (Satyagraha, ndr) per denunciare le gravi carenze strutturali, di personale, le enormi difficoltà della gestione sanitaria degli istituti, anche considerata l’elevata presenza di detenuti con problemi di dipendenze e affette da disagi psichiatrici. In molti casi il sovraffollamento supera punte del 200%. Le poche centinaia di assunzioni di polizia penitenziaria effettuate non riescono a colmare le carenze di organico stimate in oltre 18mila unità», ha proseguito Gadda. «Ma quello che è più grave, nelle carceri italiane mancano educatori, magistrati di sorveglianza, addirittura direttori. Senza queste figure non si possono fare quelle attività come lo sport, la formazione, il lavoro dentro e fuori dalle carceri, indispensabili per azzerare la recidiva. Nessuna soluzione è stata prospettata dal ministro Nordio anche rispetto alla elevatissima presenza in carcere di detenuti con problemi di salute mentale e dipendenze, per i quali il carcere non ha alcuna valenza rieducativa e anzi è concausa delle difficili condizioni di vita e lavoro per gli operatori».

Quella frase sul suicidio

«Ho vissuto il problema dei suicidi in carcere da magistrato. Ho vissuto il problema di suicidi di indagati non in carcere da magistrato, ho vissuto il problema dei suicidi di persone agli arresti domiciliari da magistrato. Non è solo il carcere che provoca il suicidio. Anche un’ingiusta indagine, un’ingiusta detenzione, seppure domiciliare, determina lo shock psicologico. È un discorso che va affrontato a monte privilegiando finalmente la presunzione di innocenza. Questo in linea strategica», ha affermato ieri, in risposta alla ministra Gadda, il ministro Nordio. «Per quanto riguarda l’aspetto pratico, noi dobbiamo alleviare la tensione carceraria che riguarda sia i detenuti sia la polizia penitenziaria attraverso l’ampliamento degli spazi, che non sono spazi soltanto fisici, ma anche psicologici. Se uno può lavorare, giocare a pallacanestro, fare una partita di calcio non è perché il carcere diventa una PlayStation. La funzione del diritto penale è non lasciare il diritto impunito e non condannare l’innocente. La pena deve essere certa, ma deve essere proporzionata, immediata, deve tendere alla rieducazione del condannato, non deve essere afflittiva oltre il senso dell’umanità. Tutto questo è perfettamente compatibile. Occorre trovare il mezzo, il sistema. Noi siamo apertissimi a qualsiasi soluzione», ha continuato Nordio. «Tenete conto che abbiamo davanti a noi una marea di persone che, sentendosi vittima di reato, invocano addirittura pene esorbitanti. Se una persona che è una vittima di reato vede che chi ha commesso quel reato non va a espiare la pena, commette un reato anche lui: è un discorso puramente utilitaristico, che coincide con l’etica. Noi dobbiamo batterci, e io lo farò fino alla fine, per evitare questo fenomeno drammatico dei suicidi».


All’interrogazione a risposta immediata di ieri dell’onorevole Flavio Tosi, riguardo alle iniziative in relazione al fenomeno del sovraffollamento carcerario (anche alla luce di recenti casi di suicidio nella casa circondariale di Verona), il ministro Nordio ha risposto che «purtroppo i suicidi in carcere sono diffusi in tutto il mondo perché lo shock psicologico della detenzione, della privazione della libertà e di quello che ne consegue, per molte persone, è intollerabile. Questo non significa sottovalutare il fenomeno, tantomeno essere rassegnati al fenomeno, ma prendere atto che è un fenomeno che esiste. Esiste come la malattia e come altre negatività della nostra esistenza. Sono state prese azioni di coordinamento con le autorità sanitarie locali e con le comunità terapeutiche. Il problema vero è che, nella detenzione, vi sono situazioni di disagio psicologico e psichiatrico che si sono sedimentate nei decenni. Lo dico da ministro e da ex magistrato», ha proseguito Nordio. «Stiamo provvedendo. Sono state divulgate informazioni ai provveditorati regionali e a tutte le direzioni degli istituti penitenziari per creare i presupposti per alleviare in via preventiva queste situazioni di disagio psichico. Abbiamo fatto assunzioni, stiamo facendo interpelli, accordi con le regioni. La situazione dei carcerati che hanno disagi psichici (che poi sono quelli che sono all’origine dei suicidi) è per metà di competenza nostra e per metà di competenza regionale. Occorre avere una sinergia con le regioni, è dal primo giorno che ci stiamo occupando di questo, un primo risultato è stato raggiunto. Non siamo contenti. Se avessimo carceri con maggiore spazio, con maggiori possibilità di lavoro e sport, i suicidi sarebbero forse, se non evitati, ridotti».
Le dichiarazioni del ministro Nordio sono state criticate dalle opposizioni per non aver fornito proposte concrete per i problemi più urgenti.

Foto di Roberto Monaldo per LaPresse

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.