In questi giorni le agenzie di stampa hanno diffusamente scritto dei disordini che hanno interessato il Nord Sudan. Il Paese è stato attraversato da un’ondata di proteste contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Al contempo, la progressiva perdita di valore della moneta locale sta penalizzando l’economia nazionale. Di fronte alla crisi, il governo di Khartoum è stato costretto a varare una serie di provvedimenti all’insegna dell’austerità, causando non pochi problemi ai ceti meno abbienti. Va ricordato che la crisi economica si è acuita a dismisura a causa dell’indipendenza del Sud Sudan, che ha determinato una notevole riduzione della produzione di greggio, con conseguente perdita di entrate e di valuta straniera. Come se non bastasse, vi è un diffuso timore che questa crisi nordsudanese possa, prima o poi, penalizzare le chiese cristiane. Fonti riservate vicine al presidente Omar Hassan el Beshir non escludono l’intenzione, da parte del regime, di espellere, in un prossimo futuro, il personale straniero delle chiese cristiane, come è già avvenuto nella vicina Eritrea. Al momento è solo una voce di corridoio, ma la diplomazia internazionale deve certamente vigilare, nella consapevolezza che, a parte la crisi economica, il preteso della nascita di un nuovo Stato indipendente nel Sud sta costituendo un’ “arma di ricatto” nelle mani dell’oligarchia di Khartoum, tradizionalmente allergica all’agenda dei diritti umani. Inoltre, rimane sul tappeto anche un’altra incognita: quella della stabilità del governo nordsudanese. Tutti sanno che il regime insediato a Khartoum è al potere dal lontano giugno del 1989 e che vi è un crescente risentimento da parte delle opposizioni politiche nei confronti del presidente Beshir. Basta leggere i rapporti delle agenzie internazionali impegnate nella difesa dei diritti umani per comprendere la gravità della situazione. Infatti, i fedelissimi di Beshir hanno fatto di tutto per silenziare ogni forma di dissidenza. Solo nella prima metà del 2010, Amnesty ha documentato l’arresto di 34 giornalisti, attivisti per i diritti umani e studenti. Considerando dunque che l’oligarchia al potere nel Nord esce comunque sconfitta dalla consultazione referendaria nel Sud e che, soprattutto nel Nord, sono in molti a vedere come il fumo negli occhi il regime di Beshir, su cui peraltro pesa un mandato di cattura internazionale spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio nella regione del Darfur, non è da escludere che, prima o poi, anche a Khartoum, come è già accaduto in altre nazioni arabe, avvenga un cambio della guardia. E al momento nessuno è in grado di prevedere chi saranno i nuovi inquilini del palazzo a Khartoum. Se fossero i moderati, per il Sud Sudan non dovrebbero esserci problemi, ma qualora s’insediasse nella capitale sudanese una nuova giunta estremista, sarebbero davvero guai seri. È per questo motivo che la comunità internazionale deve fare di tutto affinché il processo di pacificazione tra Nord e Sud giunga a compimento nel migliore dei modi.
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