Continuano ad arrivare numerossime le adesioni dei nostri lettori alla petizione lanciata da Vita sulla situazione drammatica della RD Congo (leggi l’appello). Insieme all’appello tantissimi messaggi e stamani anche una nota di un volontario impegnato in Kivu che propongo a tutti per la sua esemplare chiarezza e per le notizie che apporta.
Dal 20 gennaio 2009 il Rwanda e la RD Congo sono impegnati in una operazione militare congiunta su territorio congolese per neutralizzare le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr), gruppo armato presente nella regione dopo il genocidio del ‘94 in Rwanda, e, per integrare il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp), ribelli comandati da Laurent Nkunda, arrestato il 23 gennaio, nelle Fardc (esercito Congolese).
I Parlamentari dei rispettivi governi non erano stati informati dell’operazione militare, come pure i responsabili del contingente dell’Onu (Monuc). Preoccupa il silenzio con cui sono state condotte le operazioni militari guidate dal Capo dello Stato Maggiore rwandese, James Kabarere, e dall’Ispettore generale della Polizia congolese, John Numbi. Le popolazioni civili sono state spesso vittime di rappresaglie (es. massacro di Minova) e attacchi ai convogli. Risultato dell’operazione: sono state prese basi importanti delle Fdlr, ora costrette alla guerriglia nel tentativo di controllare le zone minerarie precedentemente sfruttate dal loro gruppo. Qualche migliaio di civili, soprattutto donne e bambini, sono rientrati in Rwanda.
Nel Nord-Est del Paese (RD Congo) i ribelli dell’esercito di Resistenza del Signore (LRA) hanno massacrato tra il 24 dicembre e il 13 gennaio, 620 civili, sequestrato 160 bambini, e causato 135.000 sfollati, con la distruzione dei loro villaggi. A questi attacchi, sono seguite le operazioni militari congiunte degli eserciti ugandese e congolese. L’obiettivo dichiarato era l’arresto del capo di ribelli LRA, Joseph Kony. È da notare che gli spostamenti degli eserciti nel Paese pesano gravemente sulla popolazione civile.
E’ intanto iniziato il rientro delle truppe rwandesi e ugandesi che, secondo gli accordi, avrebbe dovuto avvenire entro la fine del mese di febbraio.
Restano, tuttavia, molti problemi.
– L’entrata degli ex ribelli (CNDP) appoggiati dal regime rwandese, e dei gruppi armati con i loro ufficiali, nei quadri dell’esercito congolese desta preoccupazione tra la gente. Si ha paura che la forte organizzazione militare dei gruppi ribelli, condizioni pesantemente, fino ad arrivare al suo controllo totale, l’esercito regolare che, di fatto, è debolissimo. Con la conseguenza, non compresa dalla popolazione, che il controllo effettivo dei territorio sia lasciatonelle mani delle stesse persone che fino a qualche settimana fa erano gli oppressori.
– L’opposizione interna è forte; varie componenti della società, del parlamento e del governo hanno manifestato forte dissenso sia sul metodo con cui è stata condotta l’operazione (Il parlamento e i responsabili militari non erano stati informati) sia sulle ricadute politiche e di governo dell’operazione stessa che premia quelli che la popolazione ha vissuto fino a ieri come i responsabili delle violenze e della guerra. Proprio per questo è necessario una forte vigilanza da parte delle comunità internazionale.
– Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si chiede: che ai gruppi armati sia impedito l’accesso alle miniere, soprattutto di zinco, coltano, cassiterite diamanti e oro; di mettere in atto un piano che permetta di conoscere l’origine delle risorse naturali come nel caso dei diamanti nel processo di Kimberly; di controllare che questo avvenga attraverso osservatori delle Nazioni Unite; e di vigilare perché le imprese europee non impotino più prodotti minerari congolesi ottenuti illegalmente. E’ necessario un impegno politico per arrivare in fretta all’attuazione di tale proposta che toglierebbe la fonte di finanziamento ai gruppi armati e consentirebbe un’entrata consistente allo Stato congolese. Tutti ormai infatti concordano sul fatto che questa sia una guerra paravento che nasconde lo sfruttamento massiccio delle risorse.
– Dopo le elezioni che hanno portato la Repubblica Democratica del Congop ad avere una costituzione, un presidente eletto e l’attuazione di istituzioni democratiche, deve proseguire il cammino per attuare davvero nel paese uno stato di diritto. La pressione internazionale che ha condotto all’intesa i Presidenti dei due Paesi particolarmente coinvolti nella guerra (Rwanda, RDCongo) deve continuare per consolidare le istituzioni. E’ essenziale l’aiuto della Comunità mondiale per la formazione di un esercito nazionale, di un corpo di polizia professionale, e il superamento degli antagonismi locali nel Kivu e in tutto il Congo orientale. Nel 2009 sono previste le elezioni politiche locali.
– Dopo tanti anni di guerra che hanno di fatto trasformato la geografia degli insediamenti, si pone fortemente il problema delle terre. E’ importante assicurare un’equa ripartizione della terra, delle risorse minerarie e dei loro proventi tra le varie tribù ((in RDCongo sono numerose), etnie e villaggi del territorio. E questo è possibile garantendo la partecipazione, la rappresentanza politica e la co-decisione a tutte le minoranze locali. La prevalenza di un gruppo etnico sugli altri e la mancanza di rispetto dei diritti di proprietà avvelena la pace, anche perché blocca la crescita del settore primario (agricoltura) in una terra per sé fertilissima.
Oggi è necessario:
– garantire la protezione della popolazione civile e il rispetto dei diritti umani fondamentali, superando l’insicurezza legata alla presenza di uomini e gruppi armati, con l’aiuto delle forze dell’Onu, il cui mandato va rafforzato.
– Il rientro completo e in tempi brevi delle truppe rwandesi e ugandesi.
– Il sostegno alla Stato congolese, perché si affermi uno Stato di diritto.
– l’intensificazione degli sforzi diplomatici (trattative) con il gruppo Fdlr, per orientare o al rientro in Rwanda o al restare in Congo, secondo le norme del diritto internazionale (con effettivo disarmo e nei territori assegnati), superando la presenza di sacche di forze negative e il banditismo nei confronti delle popolazioni locali.
– un’attenta osservazione internazionale da parte delle nazioni unite che segua quelli che rientrano in Ruanda, perchè siano loro garantiti tutti i diritti, compreso, per coloro che sono accusati di crimini, quello alla giusta difesa in tribunali legittimi.
– Aiuto agli sfollati che rientrano nei loro luoghi di origine (attrezzi di lavoro, sementi, ….). La situazione umanitaria resta infatti gravissima per tante famiglie (nel nord Kivu – Ritchuru, Masisi, Isiro, ecc, – il 70% della popolazione è stato costretto a sfollare dalle proprie terre e dai villaggi negli ultimi due anni).
– Accordi di cooperazione tra Itali e RDCongo con responsabilità condivisa e con la collaborazione della Società Civile locale (Forze vive disponibili al dialogo: comitati interetnici, confessioni religiose, insegnanti, donne, ecc.) per la formazione di gruppi di animatori locali capaci di ricostruire il tessuto socio-economico del territorio, con sessioni specifiche per giuristi, paragiuristi, amministratori, poliziotti, ecc.
L’Italia, in questo contesto oggi può svolgere un ruolo importante promuovendo insieme con L’unione Europea una serie di iniziative diplomatiche che favoriscano la protezione delle popolazioni inermi, il rientro degli sfollati che devono essere aiutati a reinserirsi attraverso aiuti che permettano di riprendere l’attività lavorativa, (va valutata in proposito la possibilità di un intervento immediato che potrebbero salvare tante vittime), la ricostruzione di un tessuto sociale e istituzionale e il ripristino di quelle condizioni che possano rafforzare il processo di pace. Con la creazione di nuove imprese, con la promozione dei mercati locali e l’apertura di centri sanitari e di scuole. Gli accordi che hanno portato al cessate il fuoco sono solo il primo passo di un cammino che porti alla riconciliazione e allo stabilimento di una pace duratura.
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