Leggo con interesse le riflessioni di chi commenta l’agenda di Mario Monti e le altre bozze di agende dei variegati schieramenti che si accingono a chiedere fiducia agli italiani. E condivido le considerazioni di chi lamenta, o denuncia proprio, il modo in cui vengono trattati o oscurati i temi tipicamente sociali. Dal volontariato agli immigrati, dall’impresa sociale alla cooperazione: non c’è dubbio che i temi “nostri” siano cenerentola nel dibattito politico, citati ad arte quando non se ne può fare a meno e senza annunciare azioni concrete a supporto. Eppure citarli, valorizzarli e darne programmaticità non costerebbe nulla, anche in termini di promesse: chi opera nel sociale e per il sociale è abituato alle risorse scarse ed è per sua natura pronto a dare molto di più di quello che chiede.
Non occorre che ricordi qua fior di ricerche che dimostrano quanto sia alto, anche in termini economici, il ritorno di risorse investite nel terzo settore nel sociale in generale. È un errore politico non comprenderlo. Uno di quelli, peraltro, che lo schieramento intorno a Mario Monti pagherà: bastava poco per rendersi più credibile di fronte al terzo settore dopo gli ultimi anni di Berlusconi. Bastava fissare dei paletti e non lasciare le decisioni più importanti alla burocrazia ministeriale. Bastava fare in modo che l’ex Ministro Elsa Fornero dedicasse attenzione al discorso pubblico su tali temi e far vedere che gli sforzi, apprezzati da tutti, del sottosegretario Maria Cecilia Guerra non erano isolati.
Certo, tutto è rimediabile, ma scrivo queste cose perchè è indubbio che dal breve governo Monti si è usciti con un discorso pubblico in buona parte modificato rispetto al passato.
Si poteva far vedere, insomma, che anche per il sociale cambiava qualcosa. Questo avrebbe preso in contro-tempo anche altri schieramenti politici, come il Pd, naturalmente più inclini ad una sorta di Agenda Sociale e con una storia di riforme importanti. Ma ancora di più avrebbe aperto una breccia, dimostrando che non si guardava al sociale e al terzo settore come ad un ambito al pari di tanti altri. Che non lo si considerava come un settore coi suoi propri interessi divergenti da quelli del Paese (e fastidiosi come quelli di tutti coloro che pretendono e chiedono), ma come un modo di stare nel Paese stesso, un modo diverso che costruisce e rafforza la cittadinanza, che non lascia indietro nessuno coinvolgendo tutti in un progetto di cambiamento che ha bisogno di valori dichiaratamente diversi da quelli dominanti. Che dalla crisi si voleva uscire con un Paese più solidale (in linea con la nostra Costituzione) e non con un Paese solo capace di fare più beneficenza quando i conti pubblici lo permettono.
Visto che il governo Monti è stato un governo sostenuto dalle maggiori forze del Paese, forse sarebbe cambiato qualcosa.
E anche i leader che si stanno traghettando dal mondo del terzo settore alla politica avrebbero oggi più peso nei rispettivi schieramenti per affermare un nuovo modo di popolare le istituzioni e rispondere ai problemi del Paese. E ne guadagnerebbero in credibilità che allo stato attuale è tutta da dimostrare, rispondendo tali leader più a sé stessi e a chi li coopta piuttosto che ai mondi da cui provengono.
Insomma, non ci sarebbe bisogno di un’Agenda sociale se la politica avesse un’anima sociale.
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