Non profit

Non sparate sui tranvieri

Lo sciopero dei mezzi pubblici del 1 dicembre a Milano offre lo spunto per una riflessione sulla caotica situazione del traffico nel nostro Paese

di Giuseppe Frangi

“Milano è una delle città italiane più efficienti, ideale per gli affari. Ha un?eccellente rete di trasporto pubblico e servizi pubblici di buon livello. Il sistema di trasporto pubblico è il modo migliore per girare la città”. Queste informazioni le potete trovare sul sito del ministero dell?Ambiente, alla pagina dedicata alla Conferenza sul clima, la Cop9, iniziata nel capoluogo lombardo il primo dicembre (chi non ci crede vada al sito Cop9 e legga alla voce ?information?). Peccato che proprio il primo dicembre Milano abbia vissuto una giornata apocalittica, e proprio per lo sciopero che ha completamente paralizzato quel sistema di trasporti additato come modello. Che malizioso scherzo del destino! Mentre si iniziava a discutere e a litigare al capezzale del clima, grande malato di questo pianeta, l?aria di Milano si trasformava in un concentrato di polveri avvelenate, scaricate dalle migliaia di automobili imbottigliate nelle strade. Il giorno dopo, il tiro al bersaglio contro i responsabili di quella protesta irresponsabile è stato sin troppo facile. Che significato poteva avere uno sciopero che puniva gli incolpevoli utenti e premiava, paradossalmente, le aziende colpevoli di non aver rispettato i patti? Le aziende dei trasporti pubblici in Italia sono tutte in gestione passiva; quindi una giornata di sciopero si traduce in una perdita leggermente minore. Ma la mezza apocalisse che ha sconvolto Milano il primo dicembre deve far riflettere, al di là di sin troppi facili processi per direttissima. Il primo punto su cui ragionare è il problema globale dei trasporti. L?Italia è un Paese che continua ostinatamente a privilegiare quello privato e su gomma, punendo quello pubblico e su rotaia. Una logica dettata da interessi sin troppo evidenti, che è difficile scalfire. Il risultato lo si misura ogni mattina sulle strade d?Italia, ingolfate oltre il tollerabile, con perdite economiche ben più gravi di quelle imputate al maldestro sciopero dei tranvieri milanesi. Con il risultato paradossale che, nell?era dei liberi commerci, le auto e i camion stanno alzando muri e frontiere ancor invalicabili: raggiungere Milano da Varese, da Bergamo o da Torino nelle ore calde della mattinata, significa mettere in preventivo ore di code, con tutte le conseguenze devastanti sull?aria e sull?equilibrio psichico delle persone che è facile immaginare. Oggi la Slovenia, nonostante i processi di integrazione politica, è materialmente molto più irraggiungibile di dieci anni fa. Davvero non esistono alternative? Davvero non è strategico, come sta facendo la Svizzera, potenziare la rete ferroviaria caricando i camion sui vagoni? Davvero una tassa sull?ingresso del traffico privato in città è cosa tanto penalizzante? La seconda riflessione riguarda la difesa del bene pubblico. Lo sciopero ha rivelato, al di là delle intemperanze, aziende incapaci di investire sulle motivazioni e sulla crescita professionale dei propri addetti. Incapace di difenderli imponendo condizioni di lavoro e quindi di espletamento del servizio dignitose. Tram e autobus nelle grandi città vivono quotidianamente l?agonia di un traffico che cresce del 3% all?anno. Una ricerca resa nota proprio l?ultima settimana di novembre da Cittadinanzattiva ha rivelato che lo scontento degli utenti nei confronti del trasporto locale sta esplodendo, toccando il 15,6% di tutte le proteste dei cittadini. Forse la piccola apocalisse del primo dicembre dovrebbe far pensare proprio a questo. Che il futuro delle nostre città deve andare nella direzione diametralmente opposta rispetto a quella che oggi sta percorrendo. Ci guadagneranno forse meno Fiat, Pirelli e petrolieri. Ma ci guadagneremmo di più tutti.


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