Welfare

Non solo un tetto a chi non ha casa

ASSOCIAZIONE SAN MARCELLINO:Recupero integrrale della persona

di Anna Baricelli

Ufficialmente non esistono perché chi non ha una casa non ha una residenza dunque non è iscritto all’anagrafe e non ha diritto né alla carta d’identità, né all’assistenza sanitaria, né a riscuotere la pensione. Questi fantasmi sono i “senza fissa dimora”, quelli che una volta chiamavamo barboni e oggi rappresentano l’ultima frontiera di una marginalità spesso senza ritorno, il nuovo nomadismo urbano, nella quale confluiscono malati psichici, etilisti, disoccupati cronici; ex detenuti, tossicodipendenti, immigrati clandestini ma anche, e sempre di più, ex persone normali (sempre più giovani) che hanno perso famiglia e lavoro. Persone che non reggono i ritmi del successo a tutti i costi ossessivamente perseguito nelle società più ricche. I fasti del liberalismo globalizzato promettono che il fenomeno continuerà a espandersi. Dinnanzi a un’emergenza sociale così grave e problematica, il volontariato si ritrova in prima linea come sempre accade. Le case di accoglienza, gestite in molti casi da religiosi, tamponano i bisogni più urgenti, ma sanno bene che questo aiuto è inadeguato soprattutto perché non stimola le persone che lo ricevono a reagire. Da questa consapevolezza sono germogliati alcuni progetti di riabilitazione come quello, all’avanguardia, messo a punto da San Marcellino, l’associazione genovese che dall’87 ha seguito circa 3.500 senza dimora. Ora sono 600 l’anno e i contatti a vario titolo circa 9 mila. «L’obiettivo» chiarisce il presidente, Alberto Remondini, «è offrire alla persona occasioni diversificate per riprendere in mano la propria esistenza, affrontare i motivi che l’hanno portata a vivere per strada, riprogettare un futuro dignitoso valorizzando quanto di positivo appartiene alla storia di ciascuno». Questo percorso può iniziare solo dalla relazione intesa come primo motore di cambiamento perché – e qui sta la sfida di San Marcellino – essa induce chi accoglie a ripensare a se stesso ed essere più disponibile mentre libera chi è accolto dalla paralisi interiore che lo blocca. Nell’ambito di questa “relazione d’aiuto” non c’è nulla di predeterminato: l’alloggio, il lavoro, la socializzazione sono opportunità delle quali ciascuno può disporre nell’ambito di un progetto il più possibile personalizzato. Per l’alloggio l’associazione dispone, per esempio, di quattro tipi di strutture: due accoglienze notturne come primo approccio per una possibile conoscenza più approfondita e due comunità dove gli ospiti si responsabilizzano nella gestione domestica. Venticinque alloggi assistiti con livelli di autonomia variabile che possono preludere alla completa indipendenza, come nel caso della residenza multialloggi disponibile dal 1998. Particolare attenzione viene rivolta al lavoro inteso innanzitutto come produzione di senso. I cinque laboratori (pulizie, lavanderia, manutenzione, pelletteria e kambusa) sono “ambienti di lavoro simulato” dove gli apprendisti svolgono un’attività con tutti i parametri del lavoro esterno (orario, mansioni, gerarchia) ma in un ambito non competitivo che favorisce i recupero o l’acquisizione di abilità. Nell’incontro settimanale con i responsabili di ogni laboratorio, ciascuno può riflettere su difficoltà e successi. L’associazione San Marcellino sta anche sperimentando, in collaborazione con altre realtà, come il consorzio delle cooperative sociali genovesi, formule più avanzate che prevedono l’inserimento in contesti di lavoro vero. Il progetto “Rimbocchiamoci le maniche” che condensa queste e altre iniziative, ha inoltre usufruito nel biennio ’98/99 del finanziamento del fondo sociale europeo. Anna Baricelli Così il barbone si riscopre “persona” Il centro di ascolto è il fulcro di San Marcellino: un team stabile di cinque operatori professionisti (coadiuvato da volontari che si occupano dei bisogni più urgenti della prima accoglienza) recepisce le problematiche di quanti a esso si rivolgono per la prima volta o sono già ospiti delle accoglienze notturne. Per loro è previsto un colloquio settimanale di appoggio e verifica. Ogni nuovo contatto è invece registrato con una scheda, sempre aggiornata, contenente i dati personali, le problematiche specifiche di ciascuno e le considerazioni dell’operatore. A questo lavoro delicato e complesso, che richiede capacità di diagnosi rapide corredata dalla proposta di percorsi appropriati , si affianca un servizio interno di supervisione settimanale in stretto contatto con i dieci responsabili di tutte le strutture dell’associazione, per una costante verifica e rilettura condivisa dell’esperienza vissuta. Il consiglio di amministrazione è in particolare il luogo in cui gli operatori imparano a “rielaborare lo stile” cioè a migliorare la qualità delle proprie relazioni con gli ospiti di San Marcellino, confrontandosi con i propri limiti e resistenze. Tutto ciò in armonia con il principio di fondo dell’associazione: «far incontrare persone escluse e persone che si ritengono incluse» spiega il presidente. «Significa promuovere un cambiamento non solo negli utenti, ma anche nell’orizzonte sociale».


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