Mari in pericolo
Non solo microplastiche, Usa in allarme per il pellet (plastico)
La denuncia del portale americano Environmental Health News: molte delle 141 industrie che producono nurdles, palline di plastica dura, semilavorati per la produzione di bottiglie e altri utensili, li riversano nell'ambiente e nei corsi. Il Texas, dove l'industria plastica tallona quella petrolchimica, è un caso. Le ong: urge una regolazione specifica e qualcosa si muove in California
Non solo bottiglie o filiformi residui di pochi micron, ora a spaventare per la qualità delle acque dei nostri mari è il pellet di plastica.
Come ha rivelato nei giorni scorsi il portale specializzato statunitense Environmental Health News, si fa sempre più chiaro il pericolo connesso ai nurdles, palline di plastica dura che sono il prodotto grezzo, proveniente dal petrolchimico, che poi le industrie produttrici di plastiche utilizzano in fusione per ottenere il prodotto finito.
«Questi nurdles», scrive Ehn , «che possono assorbire sostanze tossiche nocive e inquinare l’ambiente mentre continuano a degradarsi in microplastiche più piccole, sono prodotti da oltre 140 strutture negli Stati Uniti, di cui 36 in Texas. La maggior parte di essi sono raggruppati, rispecchiando gli impianti petroliferi, del gas e petrolchimici lungo la costa, secondo una nuova iniziativa di mappatura delle organizzazioni non profit Environment America e Public Interest Research Group. Il nuovo rapporto fornisce informazioni sulla provenienza dei granuli non regolamentati e di altre plastiche pre-produzione come scaglie, granuli e polveri».
Minaccia per la fauna selvatica
Secondo il direttore esecutivo di Environment Texas, Luke Metzger, intervistato dalla giornalista Cami Ferrell, «i granuli di plastica possono essere minuscoli, ma rappresentano un’enorme minaccia per la fauna selvatica. Tartarughe, uccelli e pesci hanno bisogno di corsi d’acqua liberi dall’inquinamento da microplastiche, ma se vivono vicino a uno di questi impianti che producono plastica, potrebbero essere a rischio. Ecco perché chiediamo ai legislatori di impedire alle strutture di scaricare o rovesciare granuli nei nostri corsi d’acqua».
E proprio questa ong texana, utilizzando i dati federali del Toxic Release Inventory dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti – Epa, ha individuato l’elenco di 141 strutture statunitensi che creano plastica pre-produzione, che spesso consiste in granuli solitamente non più grandi di un chicco di riso.
Texas fuorilegge
Spiega Ferrell che un impianto su quattro, 36 in tutto, si trova appunto sulla costa del Texas, anche fisicamente in filiera coi petrolchimici che abbondano nel famoso Stato del Sud. «Dei 36 impianti», scrive, «19 hanno violato le normative ambientali nell’ultimo anno, secondo i loro storici di applicazione e conformità Epa online. Nove di questi 19 hanno violazioni significative delle normative ambientali per almeno 12 trimestri, o 3 anni».
Come riporta Ehn, esiste anche un progetto dedicato alla lotta a questo specifico inquinante, intitolato significativamente Nurdle Hunt, ossia caccia al nurdle. Lo ha promosso l’ente filantropico ambientale britannica Fidra. Proprio questa charity e i suoi ricercatori stimano che, ogni anno, circa 491 mila tonnellate di nurdle finiscano nell’ambiente in tutto il mondo. Secondo un rapporto di Pew Charitable Trusts, organizzazione non-profit specializzata in analisi di dati di ricerca, quasi la metà di queste tonnellate, ovvero più di 242mila, finiscono nell’oceano e il 18% di tutte le microplastiche nell’oceano derivano dall’inquinamento da pellet.
Le ong: una regolazione specifica per i nurdles
Le organizzazioni ambientaliste puntano a una regolamentazione specifica per i granuli di plastica, attualmente assente in Usa e nel mondo. I primi segnali arrivano dalla California, dove l’Epa, l’agenzia federale di protezione dell’ambiente, ha invocato il Clean Water Act, per cercare di limitare la quantità di inquinamento da pellet che entra nei corsi d’acqua.
La foto in apertura è di Marc Newberry da Unsplash
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