Cultura

Non si può arrestare la vogli di vivere.

Tre morti a Trapani. Tre morti senza volto. Ma sui tre corpi anneriti trovati dietro la porta chiusa della cella del “Serraino Vulpitta” neppure un’ipotesi d’identità.

di Marco Revelli

Tre morti a Trapani. Tre morti senza volto. Tre morti senza nome. I giornali abbondano di particolari sull?identità del presunto incendiario; snocciolano nomi e cognomi dei sospetti fomentatori della rivolta. Ma sui tre corpi anneriti trovati dietro la porta chiusa della cella del ?Serraino Vulpitta? neppure un?ipotesi d?identità. Un?ansia di conoscenza. Una domanda ?anagrafica? ?Non-vite? spentesi in un ?non-luogo? quale è, appunto, quello di Trapani. Per ognuno dei ?nostri? morti, la notizia associa quasi sempre un volto, o almeno una data di nascita, il cenno a una famiglia, a un luogo d?origine, magari a un mestiere: le coordinate, appunto, che permettono di collegare la mera esistenza a una biografia. Per questi morti venuti dal nulla – da quel limbo indistinto che sta fuori dal cerchio magico della geografia del benessere – solo la testimonianza del nudo corpo, senza altra determinazione. Un presente sospeso (nell?atto del morire), senza passato né futuro, né relazioni sociali o parentali. «Erano ancora in corso le indagini per accertarne la vera identità», spiegano i quotidiani. Ma in realtà, dietro quell?anonimato radicale, c?è una verità più profonda, e inconfessabile. Ed è che la nostra ?civiltà? (occidentale? avanzata? post-moderna? post-materialista?), così sensibile all?individuo, così intransigentemente individualista, riduce l??altro?, colui che ne viene dal di fuori, lo straniero sociale e culturale, più che geografico, a non-persona. A quel ?nulla? che non è visto né come titolare di diritti, né come portatore d?identità, dal momento che riconoscerlo come tale presupporrebbe rimettere in discussione qualcosa di noi, del nostro modo di vita, dei nostri privilegi. Lo dimostrano, con la forza della fisicità tipica dei ?luoghi?, le strutture in cui vengono rinchiusi e in una delle quali i tre ìimmigrati ignotiî di Trapani hanno perso la vita. La legge li chiama ?Centri di permanenza temporanea?, in realtà sono veri e propri ?campi di concentramento? (nel senso tecnico del termine): spazi in cui vengono concentrati, appunto, uomini e donne ai quali non è imputabile alcun reato (l?immigrazione clandestina non è sanzionata penalmente, tutt?al più costituisce illecito amministrativo), ma che vengono privati della propria libertà personale, detenuti e sorvegliati da uomini in armi, circondati da gabbie metalliche, mura e filo spinato secondo una pratica che costituisce, a tutti gli effetti, un ?mostro giuridico?, privo di legittimità all?interno del nostro ordinamento costituzionale e di fronte alla legislazione internazionale in materia di diritti umani.


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