Economia

«Non si innova senza diritti»

Per Dario Canali, della Cgil, «con la modifica della 142 si torna indietro». Soci meno tutelati dei dipendenti. Allarme «coop spurie»

di Giampaolo Cerri

Come si può teorizzare che un?idea positiva come la cooperazione sociale, un nuovo modo di fare impresa e inclusione al tempo stesso, possa ammettere, per i soci, trattamenti economici e normativi peggiori dei contratti nazionali?». Dario Canali, sindacalista di lungo corso di Cgil Funzione pubblica, è responsabile del comparto ?socio-sanitario-assistenziale-educativo e privato? e come tale firma i contratti di lavoro di tutta l?area del non profit. Le recenti modifiche della normativa sul socio lavoratore non gli piacciono. «Secondo noi la formulazione della legge 142/2001 era equilibrata», dice, «che un ?cotitolare? di impresa come il socio, padrone per la sua quota dei destini della cooperativa, debba guadagnare meno e avere meno diritti di un dipendente». Nelle recenti modifiche, Canali vede il tentativo di «svalorizzare lo strumento contrattuale». La legge «era un punto fermo contro cooperative spurie, gare al massimo ribasso e altri fenomeni simili. Oggi, si torna indietro». Con le modifiche si stabilisce che i regolamenti delle singole cooperative «non possono derogare in peggio dai trattamenti economici e solo da quelli». Canali traduce: «Lo stipendio sì, le condizioni di lavoro no: turni, ferie, riposi, diventano una variabile». Inoltre dalla modifica del primo articolo della 142, quello che definisce il rapporto associativo, «la giurisdizione per eventuali controversie è quella della magistratura ordinaria e non più quella del lavoro». Un cambiamento che interviene anche sull?esercizio dei diritti sindacali: «Con la vecchia norma, lo Statuto dei lavoratori era applicato in toto, salvo l?articolo 18», spiega Canali, «ora l?applicazione viene subordinata a un accordo fra le parti». E quindi non si negano i diritti, obiettiamo. «Vero, ma se le centrali decidessero di non sottoscrivere l?accordo?». Canali respinge indignato accuse di pregiudizio culturale verso il non profit: «Anni fa la Cgil si batteva perché dentro le cooperative ci fossero solo lavoratori dipendenti e non soci», dice, «ma da tempo la musica è cambiata». E cita la difesa e il sostegno alla legge sulla cooperazione sociale: «Ci battiamo con Regioni e Comuni perché ci siano tabelle socioassistenziali minime, evitando gli appalti al massimo ribasso. Ma non ci arrendiamo all?idea che in settori innovativi come l?impresa sociale si possa pensare di non partire da un minimo di diritti del lavoro per tutti».


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