Sostenibilità

«Non servono nuove centrali»

Parla Regine Günther, direttrice per la tutela del clima e la politica energetica del WWF Germania

di Natascia Gargano

Lo scorso 18 settembre migliaia di persone scendevano in piazza a Berlino per protestare contro la politica nucleare del governo Merkel. Pomo della discordia: l’annuncio di voler prolungare in media di 12 anni la vita dei 17 reattori nucleari del Paese, rispetto a quanto deciso nel 2000 dai socialdemocratici guidati da Schroeder, che fissarono al 2022 la data di chiusura delle centrali tedesche. Per la cancelliera si tratta di una «rivoluzione» per il settore energetico del Paese, per altri, anche di uno strumento nella lotta contro i cambiamenti climatici. Non la pensa esattamente così Regine Günther, direttrice per la tutela del clima e la politica energetica del WWF Germania, intervistata a riguardo da VITA.

«Sia chiaro, l’estensione della vita degli impianti nucleari non avrà alcun effetto sulla protezione del clima, perché la Co2 “risparmiata” potrà essere emessa da un altro Paese, all’interno dello schema di emission trading europeo. Inoltre, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) ha stimato che per ridurre le emissioni solo del 10%, servirebbero ben 1.400 nuove centrali. I rischi legati a massicce estensioni del nucleare sono altissimi, e nel frattempo il grosso della quota di riduzione di Co2 (90%) sarà comunque realizzato attraverso misure non legate al nucleare. Nemmeno il prezzo dell’elettricità verrà influenzato in modo significativo, il principale effetto economico del provvedimento sarà la distorsione di mercato a favore dell’oligopolio del nucleare tedesco.

Ma in cambio dell’estensione della vita delle centrali il governo ha previsto una tassa sulle utilities per finanziare l’uso e la ricerca delle fonti rinnovabili. Non ritiene che questo potrebbe contribuire in maniera significativa allo sviluppo delle rinnovabili in Germania?

«Innanzitutto guardiamo ai numeri. È vero, il governo introdurrà una tassa sul combustibile nucleare per tutta la produzione di energia da impianti nucleari dal 2011 al 2016 a un tasso di 145 euro al grammo di combustibile nucleare (in media 13 euro per kWh al netto del rendimento di elettricità). Si stima che le entrate destinate al fondo rinnovabili ammonteranno a 2,3 miliardi di euro dal 2011 al 2020, 8,2 miliardi dal 2021 al 2030 e 2,5 miliardi dal 2031 al 2040. Per i primi dieci anni – i più importanti per la trasformazione del sistema energetico – 2,3 miliardi di euro sono davvero poco, se si pensa ai 76 miliardi di euro che finiranno nelle tasche dei grandi gestori del nucleare tedesco (RWE, E.on, Vattenfall e EnBW). Sono loro i grandi vincitori della partita».

La Merkel ha definito la decisione un provvedimento “ponte” verso un futuro “nuclear free”. Non pensa che si potrebbe aprire la strada a una nuova politica energetica europea?

«Il WWF Germania considera il prolungamento della vita degli impianti nucleari più come un ostacolo che come un ponte verso un futuro basato sulle rinnovabili. Introdurre oggi nuovi impianti nucleari o a carbone non serve a nulla. Servirebbero piuttosto più impianti a gas».

Recenti sondaggi mostrano come l’appoggio alla coalizione di governo sia calato e come la maggioranza di tedeschi si sia opposta all’idea di posporre la data di chiusura delle centrali.

«La protesta contro il provvedimento ha raggiunto vaste parti della classe media. La gente si sente frustrata non solo a causa estensione che concede grandi vantaggi all’oligopolio nel mercato dell’elettricità, ma anche dai processi decisionali. Il governo ha siglato un contratto esclusivo con i quattro grandi fornitori di energia tedeschi, che è stato reso noto solo dopo forti pressioni dell’opinione pubblica. Direi che oggi la maggioranza dei tedeschi è contro il provvedimento».

Come vi muoverete invece rispetto alla decisione di non far passare il provvedimento per la camera regionale, dove la coalizione della Merkel ha perso la maggioranza?

«I partiti dell’opposizione intenteranno un’azione legale contro l’accordo proprio perché il Bundesrat non è stato consultato. E non è improbabile l’annullamento della decisione da parte della Corte costituzionale, con il ripristinamento della data di chiusura delle centrali al 2022».

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