Mondo
Non scordatevi la pila
L'ultimo reportage di Laura Scotti: le paure e i consigli della volontaria.
di Laura Scotti
Obiettivo raggiunto. La giornalista ha già lanciato un pezzo d’attualità sull’apertura del parco giochi a Peja con una dichiarazione del presidente sulle nostre attività e farà uno speciale Kosovo sulle attività Ai.Bi. al suo rientro dalle ferie.
Come avete potuto vedere ho approfittato del ponte per fermarmi il week-end in Kosovo e partecipare all’incontro tra i bambini di due villaggi, uno dell’area di Fushkosova e uno dell’area di Peja. È stata un’esperienza veramente incredibile e bellissima. All’arrivo un calorosissimo comitato di accoglienza con bandiere, striscione, purtroppo, qualche petardo (ne deve essere arrivata una grande partita in Kosovo). Subito dopo i bambini dell’area di Fushkosova (ammetto, non mi ricordo il nome del villaggio) hanno fatto uno spettacolino con poesie, canzoni, sketch e balli. È seguita la distribuzione di cartoncini con saluti e ringraziamenti, preparati dai bambini di Fushkosova per i loro nuovi amici di Lybeniq, che a loro volta li hanno invitati a casa per il pranzo. Dopo pranzo canti, balli, corse nei prati (sminati), partite a pallone e tantissimi baci e abbracci al momento della partenza. È impossibile spiegare a parole cosa ha rappresentato anche per me (e per tutti quelli dello staff Ai.Bi.Kosovo anche locali) quell’incontro; ha tentato di farlo Mustaf ringraziandoci all’inizio della giornata e, come suo solito, ci ha fatto piangere tutti.
Vorrei fare ora due considerazioni sulle nostre attività in Kosovo. Come tutti sapete non so esimermi dal fare le mie osservazioni, anche quando non richieste. La prima riguarda le attività di animazione. So che già ci state pensando, ma penso che a questo punto sia fondamentale trovare operatori che formino gli animatori. Siamo riusciti a fare uscire i bambini dalle case e a farli socializzare, adesso dobbiamo andare oltre. Tra poco le attività si svolgeranno in spazi ridotti e al chiuso, avremo la necessità e l’opportunità di fare attività finalizzate (gli ambienti chiusi comporteranno la creazione di gruppi meno numerosi) e i nostri animatori attualmente non mi sembra siano in grado di programmarle. Anche il nostro staff in Kosovo non è formato a questo riguardo e non può che agire con buon senso, come sta già facendo, e questo non credo sia sufficiente.
La seconda è solo una sensazione personale che però penso possa essere utile per comprendere le reazioni dei nostri espatriati. La mattina di giovedì ho accompagnato la giornalista in visita alla scuola di Strovc. In macchina con me c’erano solo la giornalista, un’interprete e il padre di Franco. Per andare alla scuola, per motivi di tempo, ho deciso di passare attraverso i villaggi serbi. Avevo già fatto quella strada e sono andata con Davide a fare animazione a Gorozhdec, ma vi assicuro che per la prima volta ho avuto veramente paura. Forse è stato perché il giorno prima avevo visto le auto bruciate, forse perché l’interprete che era con me era terrorizzata, forse perché mi avevano detto che hanno bruciato la casa all’interprete italiano-serbo della Kfor. Questa paura comunque è reale. È altrettanto reale che non ci possiamo fermare davanti a questa paura e che dobbiamo andare in quei villaggi. Il mio messaggio è solamente: accompagniamoli psicologicamente capendo le loro paure e le loro resistenze.
Che altro aggiungere se non che è incredibile quanto ogni missione possa essere più emozionante ed interessante dell’altra e ricordare a tutti quelli che in futuro andranno in Kosovo di portare la pila elettrica (che avevo sempre portato e questa volta lasciato a casa). novembre 1999
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