Economia

Non rimettete quel debito

I Paesi ricchi pensano a una moratoria su quanto dovuto dai Paesi colpiti dallo tsunami (di Massimo Pallottino).

di Redazione

Gli eventi catastrofici del Sud-Est asiatico hanno avuto l?effetto di riportare alla ribalta la questione del debito, ma al di là delle dichiarazioni a effetto, è importante vedere se le soluzioni evocate apportino elementi di reale innovazione nelle relazioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Ci sembra infatti che la giustificata emozione rischi di mettere in secondo piano un certo numero di elementi di una qualche rilevanza.
Già immediatamente dopo la tragedia si erano alzate numerose voci autorevoli che identificavano, giustamente, la necessità di una energica azione sul debito estero dei Paesi colpiti. Ma è possibile trattare realmente allo stesso modo Paesi con caratteristiche così diverse? Cos?hanno in comune il miliardo e più di abitanti dell?India con lo Sri Lanka, abitato da 19 milioni di persone? Non molto probabilmente.

Un quadro condiviso
Non sorprende dunque che l?Indonesia, indebitata per il 44% sul totale dei debiti a lungo termine nei confronti di privati, e la Thailandia (indebitata verso i privati per il 61% e con un Pil pro capite pari a quasi tre volte quello dell?Indonesia) possano fare fatica ad accettare una moratoria o addirittura una cancellazione a proprio favore: è infatti elevato il rischio che questo provvedimento possa essere male accolto dai mercati, con conseguenti maggiori difficoltà, e quindi costi più elevati, nel fare ricorso al mercato finanziario in futuro. Ed è chiaro ad esempio che lo Sri Lanka, con il suo 15% di debito verso i privati, ha caratteristiche ed esigenze diverse.
È necessario intervenire sul debito dei Paesi colpiti, ma in un quadro condiviso e complessivo, che valuti le effettive necessità della ricostruzione e il contesto in cui questa dovrà avvenire. Non solo quindi la questione del debito e degli aiuti, ma anche quella del malfunzionamento dei mercati finanziari, che del debito è causa, e che ha già provocato pochi anni fa l?onda anomala di una delle crisi più gravi degli ultimi decenni. Per contro, si rischia invece di dimenticare che il peso del debito opprime i Paesi colpiti dalla recente catastrofe ma anche tutti gli altri Paesi poveri, per i quali la situazione è ancora estremamente grave e fondamentalmente irrisolta.

Club imbarazzato
Ma qual è dunque la risposta delle istituzioni pubbliche? Povera, imbarazzata e contraddittoria. Povera, perché quanto deciso recentemente dal Club di Parigi è il minimo di quanto il semplice buon senso suggeriva, con l?imbarazzo aggiuntivo derivante dal fatto che molti degli elementi chiave sono lasciati indefiniti: una semplice moratoria della durata non precisata, nel corso della quale non è neanche chiaro se gli interessi dei pagamenti non effettuati si accumuleranno ulteriormente. Nel frattempo tutti i Paesi ricchi, in maniera assai più consistente, hanno tentato di posizionarsi al meglio in quella che è una gara di solidarietà, ma senza dubbio anche una partita gravida di conseguenze per la geopolitica di una delle aree più delicate del pianeta.
A dover garantire la valutazione delle priorità e la ricostruzione stessa sono le istituzioni dei Paesi colpiti, con il ruolo indispensabile della società civile di quei Paesi. Per questo c?è bisogno di un dialogo attento e competente, e ci si può domandare se non costituisca una contraddizione e un?occasione perduta quella ingente massa di risorse raccolte in Italia grazie alla mobilitazione dell?opinione pubblica, che invece di diventare occasione di responsabile e durevole relazione con le organizzazioni di base nei Paesi toccati, vengono canalizzate attraverso istituzioni governative italiane (e non tra quelle competenti su questioni internazionali).

Solo un bel gesto?
Il rischio è quello, ancora una volta, del ?bel gesto? compiuto a costi contenuti. I montanti impegnati dal governo vengono infatti in gran parte sottratti alle già magre risorse della cooperazione, e gli impegni relativi a un?azione più incisiva sul debito rischiano di avere un effetto puramente cosmetico: non è infatti sufficiente cancellare o ?convertire? il debito, ma occorre dotarsi dei mezzi necessari a verificare che gli impegni assunti, in primo luogo con l?opinione pubblica dei Paesi coinvolti, vengano mantenuti. Questo è quanto impone la legge 209/2000, purtroppo disattesa per quanto riguarda l?impegno sul monitoraggio dell?uso delle risorse liberate. Non ci sembra di chiedere troppo: meno annunci a effetto, e più politica di cooperazione.

Massimo Pallottino

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