Volontariato
Non profit, sii casto in politica
È stato uno dei grandi innovatori del Terzo settore in questi anni. Ha partecipato alla fondazione di Cgm. Intervista a Felice Scalvini.
Un artigiano dell?economia sociale. Così ama definirsi Felice Scalvini, cinquantenne, bresciano, avvocato che alla toga e ai fori ha preferito il sociale, scelta che lo ha portato a mettere la firma su molti dei progetti che negli ultimi anni hanno favorito la crescita del Terzo settore e dell?imprenditoria sociale: coautore della legge 381 sulla cooperazione sociale, tra i fondatori, e primo presidente, del Consorzio Gino Mattarelli e di Federsolidarietà, fautore della nascita di Cosis, la prima merchant bank etica e tra i promotori della Banca Etica. è stato, inoltre, il primo in Italia, destando qualche stupore, a parlare di impresa sociale. Scalvini oggi siede alla presidenza di Cecop, la confederazione europea delle cooperative di lavoro e solidarietà sociale per il suo terzo, e ultimo, mandato, e nel consiglio di amministrazione della Fondazione Cariplo. È poi presidente di due neonate realtà: la Fondazione per l?housing sociale e Assifero, l?associazione delle fondazioni e degli enti di erogazione.
Vita: Il 94, come del resto tutti i primi anni 90, sono stati caratterizzati da un forte dinamismo del Terzo settore. Lei come li ha vissuti?
Felice Scalvini: Dieci anni fa ero presidente di Cgm e Federsolidarietà, mi apprestavo a terminare queste due esperienze tenendo fede all?idea che nelle organizzazioni debba esserci un frequente ricambio ai vertici. Stavo per partire con Cosis, oltre che con il Forum del Terzo settore, e lavoravo con Fabio Salviato alla costituzione della Banca Etica. Cosis fu un fulmine a ciel sereno, incontrai Pellegrino Capaldo, allora presidente della Banca di Roma e della Fondazione Cassa di risparmio Roma, a cui proposi un progetto che avevo nel cassetto su una merchant bank per il non profit. Fu un?esperienza del tutto particolare: dal progetto alla sua realizzazione passarono poco più di 15 giorni. Quella con Capaldo, una delle persone con maggior indipendenza di pensiero, motivazioni etiche e lucidità intellettuale che ho conosciuto, fu la dimostrazione che a 40 anni, tanti ne avevo allora, si possono ancora incontrare dei maestri.
Vita: Come fu accolto l?ingresso della finanza nel Terzo settore?
Scalvini: Con diffidenza anche perché nel capitale di Cosis entrarono grossi gruppi industriali: oltre a Banca di Roma c?erano anche Telecom e Autostrade. All?inizio molti non ne capirono la portata. Ci fu chi, come Passuello, mi accusò di essere l?ebola del Terzo settore perché portavo il virus della finanza e delle grandi banche nel non profit. In seguito si ricredette. Anche Salviato se la legò un po? al dito, ma è acqua passata anche perché si è confermato che non vi è concorrenza tra Cosis e Banca etica. D?altronde sentivo che era necessario impegnarsi molto su quel fronte. Passati gli anni precedenti a realizzare la struttura politica: Federsolidarietà; il sistema imprenditoriale: la rete consortile e Cgm; a cercare di costruire una cultura e una visione univoca con le parole d?ordine: la piccola dimensione, la specializzazione, il radicamento sul territorio; lanciato il termine impresa sociale, bisognava affrontare il problema di dotarsi di strumenti finanziari che potessero reggere lo sviluppo di queste imprese, e io ho sempre creduto nella necessità di una pluralità di soggetti finanziari.
Vita: La principale fonte di approvvigionamento delle risorse delle imprese sociali è il sistema pubblico. Quali effetti ha prodotto una tale dipendenza?
Scalvini: La pubblica amministrazione dà incentivi al mondo del non profit secondo logiche in molti casi deformanti e destrutturate. Chi ha pagato, e sta tuttora pagando, il prezzo per questo sistema sbagliato di incentivi è il mondo del non profit. Questo sistema, ad esempio, ha spinto negli anni le organizzazioni di volontariato verso la gestione di servizi, perché è questo quello che l?ente pubblico chiede, quando invece doveva essere incentivata la promozione di cittadinanza attiva. Il risultato è la preoccupante crisi di identità che da vari anni attanaglia il volontariato.
Vita: La concertazione nella progettazione dei servizi sociali prevista dalla 328 ha scalfito o consolidato questa impostazione della pubblica amministrazione?
Scalvini: Ritengo che la 328 fosse una legge obsoleta già alla sua nascita. È stata l?ultima espressione di una visione pianificatoria centralistica soltanto contemperata da alcune affermazioni di buona volontà sul ruolo del Terzo settore ma che poi non aveva realistiche possibilità di svilupparsi. L?unica novità è stata quella di riproporre la centralità delle municipalità, le quali purtroppo se ne sono appropriate per fare politiche di forte statalizzazione. Il welfare municipale che sta emergendo è un welfare dirigistico, quasi cesaristico e non quello della partecipazione diffusa con l?ente locale che invece dovrebbe essere il promotore di sussidiarietà.
Vita: Sussidiarietà relegata quindi a un ruolo sempre più marginale?
Scalvini: L?attuazione della 328 più che sviluppare una reale sussidiarietà diffusa, sta rinforzando la gestione pubblica municipale. Ne sono prova le aziende speciali per i servizi sociali che, con varie forme giuridiche, stanno nascendo un po? ovunque. Quella attuale è una municipalità che tenta di organizzare nel proprio disegno gestionale le risorse della comunità secondo un progetto molto costoso, non particolarmente produttivo e poco interessante anche dal punto di vista della crescita civile e democratica. Le interpretazioni che le amministrazioni pubbliche tendono a dare dell?imprenditoria sociale è quella di soggetti che gestiscono la forza lavoro in nome e per conto della pubblica amministrazione piuttosto che soggetti autonomi frutto dell?autorganizzazione del territorio. Questo atteggiamento mette in evidenza la carenza di un disegno preciso di supporto alle forme di autorganizzazione imprenditoriale e sociale della comunità locale.
Vita: Il Terzo settore ha qualche responsabilità?
Scalvini: In questo momento la capacità di aggregarsi su grandi temi evolutivi del mondo del Terzo settore mi sembra un po? in ribasso, c?è una difficoltà a costruire disegni comuni, a definire prospettive forti e innovative, lo spirito che c?era dieci anni fa fatica a riemergere. A mio parere non c?è la consapevolezza profonda che la sussidiarietà non sarà regalata da nessuno ma andrà conquistata metro per metro e che questo obiettivo richiede una grande capacità di visione di lungo periodo, di autonomia e di collaborazione. Per far questo bisognerebbe evitare di farsi condizionare dal quadro politico e soprattutto evitare che il quadro politico generale finisca per interferire nelle dinamiche interne al Terzo settore. Credo che molti leader del non profit dovrebbero fare una sorta di voto di castità politica. Se si vuole una lobby fortemente autonoma deve essere chiaro che chi la rappresenta si impegnerà esclusivamente a favore delle organizzazioni del Terzo settore.
Vita: Perché le condizioni che dieci anni fa favorirono la crescita del Terzo settore sono venute meno?
Scalvini: Allora era forte l?idea che c?era una novità che il sociale doveva portare nella politica, che era anche un nuovo modo di relazionarsi, una nuova idea della politica che prescindeva dalle collocazioni e dalle aspirazioni dei singoli. Oggi mi sembra che ci sia una sorta di riflusso e che la politica tradizionale rischi di condizionare le dinamiche del Terzo settore. Questo non aiuta il processo di sviluppo che ho sempre concepito come processo di forte emancipazione della politica intesa come sistema di relazioni partitiche strutturate.
Vita: Quale fu il momento in cui l?impresa sociale da ipotesi marginale e poco conosciuta iniziò a ottenere visibilità e considerazione?
Scalvini: Il momento di importante accreditamento fu uno studio fatto dalla Mc Kinsey su Cgm: il fatto che la più prestigiosa società di consulenza direzionale al mondo si occupasse e destinasse proprie risorse per studiare un?azienda come Cgm, provocò un certo interesse in ambienti imprenditoriali e finanziari: se se ne occupa Mc Kinsey voleva dire che valeva la pena. Lo studio prevedeva lo sviluppo che poi effettivamente ha avuto Cgm, dando torto a chi, come Cnca, ancora meno di 10 anni fa esprimeva forti perplessità sull?imprenditoria sociale. Oggi invece tutti sono pronti a definirsi imprenditori sociali.
Vita: Qual è stata l?idea vincente di Cgm?
Scalvini: è stata quella di un?impresa a rete programmata che non fosse semplice decentramento o semplice aggregazione casuale, ma un?operazione meditata sin dall?inizio e portata avanti con coerenza, pur tra mille difficoltà. Cgm rappresenta la sfida, vinta, di costruire un?impresa a rete di dimensioni nazionali in modo compatibile e integrato con una miriade di piccole imprese radicate nel territorio.
Vita: Oggi qual è la grande sfida del non profit?
Scalvini: Oggi la grande sfida è far nascere un grande polo privato e indipendente del sostegno economico e finanziario che permetta a questo mondo di evolversi, vincendo la sfida di entrare sempre più nell?economia senza però esserne condizionato. Naturalmente mi riferisco al mondo delle fondazioni grant making, in primis quelle bancarie. L?ideale sarebbe che cambiasse anche la pubblica amministrazione e il suo sistema di incentivi, questa è una sfida di natura politica, e poichè sono convinto che le sfide politiche debbano essere supportate da azioni concrete che dimostrano che è possibile realizzare quello che si va a proporre, da questo punto di vista credo che lo sviluppo della filantropia istituzionale sia fondamentale per orientare un?evoluzione delle risorse pubbliche. Molte iniziative della Fondazione Cariplo mi sembra stiano dimostrando questo assunto. Anche la vostra battaglia sulla + Dai -Versi va in questa direzione ed è assolutamente meritoria. Il Terzo settore deve anche prender coscienza del problema del conflitto di interessi e deve imparare a gestirlo. Chi è deputato a gestire le risorse deve essere indipendente e autonomo rispetto ai destinatari della risorsa.
Vita: Emmanuele Emanuele ha sostenuto su Vita che le fondazioni sono gli unici soggetti che possono modificare il non profit italiano. Lei è d?accordo?
Scalvini: La sfida del nuovo coinvolge tutti. Ho sempre propugnato la costituzione di una squadra del non profit in cui ognuno si ritagliasse un ruolo preciso e giocasse la partita complessiva rimanendo nel proprio ruolo, non occupando tutto il campo e aiutando gli altri ad assolvere i propri compiti. In questa logica il ruolo delle realtà private grant making è decisivo per strutturare un sistema di incentivi per il Terzo settore alternativo e diverso, e qui entrano in gioco le fondazioni bancarie e più in generale la filantropia istituzionale: le fondazioni di comunità, imprenditoriali, famigliari. Ribadisco che un Terzo settore indipendente ed efficace ha bisogno di una pluralità di istituzioni finanziarie private altrettanto libere ed efficaci. Oggi sono ancora poche.
Vita: Che impatto pensa possa avere il riconoscimento legislativo dell?impresa sociale?
Scalvini: Produrrebbe un impatto sul welfare certamente superiore a quello della 328: finalmente ci sarebbe un soggetto identificato, distinguibile dai soggetti con finalità e compiti principalmente redistributivi. Avremmo finalmente superato la ormai inutile distinzione tra le diverse forme giuridiche e avremmo da un lato una gamma di soggetti gestori: imprenditoriali – le imprese sociali- e non imprenditoriali – le organizzazioni di volontariato-, e dall?altro i soggetti erogatori di risorse. Mi pare che una simile evoluzione potrebbe aiutare tutte le realtà a crescere e a collaborare . Le realtà del Terzo settore, per propria natura, dovrebbero sempre cooperare per massimizzare l?interesse della comunità a cui appartengono e non assecondare l?idea, del tutto sciocca, ma diffusissima nella Pubblica amministrazione, che il meglio, in termini economici e operativi, si raggiunga mettendo in concorrenza i diversi soggetti piuttosto che facendoli collaborare.
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