Formazione

Non profit, non ti capisco

Intervista a 360 gradi con Fausto Bertinotti. Che parla della sinistra, del fallimento dell’Italia di Berlusconi.

di Ettore Colombo

Di Fausto Bertinotti si sa molto, forse troppo. Acclarate pubbliche virtù – acume, cortesia, cordialità, signorilità – e presunti vizi privati – i vezzi snobistici, le frequentazioni mondane, il look – sono stati scandagliati e riproposti dai media, fino alla nausea. Il portaocchiali di Bertinotti, Bertinotti che veste di velluto, le vacanze intelligenti e le amicizie influenti, i centri sociali e i salotti chic, la moglie Lella e il figlio Duccio. Cosa può aggiungere, il ?subcomandante Fausto?, al settimanale del non profit Vita dopo mille interviste in cui è passato ai raggi x e ha detto che lo sciopero gli dà gioia, fatto l?elenco delle sue letture estive, raccontato per la centesima volta come andò quella volta che fece cadere il governo Prodi, teorizzato il ?comunismo oltre il comunismo? (anche in quattro libri, peraltro), disquisito del rapporto con i movimenti no e new global (anzi, il «Movimento dei Movimenti», come lo chiama lui, con tutte le maiuscole?) e ora della necessità di andare ?oltre il Novecento? (come gli suggerisce Marco Revelli, autore a noi e lui caro) o di coniugare programmi e utopia, radicalismo e governo delle sinistre, comunismo e nonviolenza? Siamo andati ad ascoltare le ragioni del segretario, ma abbiamo parlato più di economia, società e mondo del non profit che di altro, constatando peraltro che non solo le differenze tra le posizioni più avanzate del non profit e quelle di Rifondazione sono decisamente lontane, ma che anche quelle tra Rifondazione e il centrosinistra (per non parlare di ?moderati?, politici e sindacali) sono belle distanti. Bertinotti, però, è noto, sa argomentare. E discutere con lui è interessante e appassionante insieme. Saremmo andati avanti ancora, ma come ci ha detto con la consueta cortesia «se continuiamo di questo passo facciamo un libro». La ?r? di libro era, naturalmente, una ?r? moscia. Vita: Onorevole Bertinotti, dieci anni fa, più o meno, partiva la stagione della concertazione sociale. Ora, forse, ritorna in auge, nel post-Berlusconi. Rifondazione allora si oppose in modo duro, e oggi? Fausto Bertinotti: Eravamo contro allora come siamo contro oggi. La prova dei dieci anni, per quanto ci riguarda, è stata fallimentare. Ma non è un?opinione, è un fatto: basta guardare alla dinamica dei redditi. In dodici anni l?Italia ha avuto uno spostamento significativo dell?8-9% dai redditi da lavoro (salari, stipendi, pensioni) a profitto e rendita. Il trasferimento delle risorse è avvenuto in senso regressivo e si è trasformata in una profonda forma di ingiustizia sociale, fatto che mette una pietra tombale sulla politica della concertazione. Si è verificato cioè un duplice fenomeno di distribuzione classista del reddito: da un lato uno spostamento dei redditi medi e medio-bassi da lavoro dipendente ai redditi alti e altissimi, dall?altro la progressiva perdita di potere d?acquisto dei salari. Oggi penso che vi siano due possibilità di critica alla politica dei redditi: una è quella radicale e di fondo che noi facciamo, e cioè che nella politica dei redditi e della concertazione l?unica forma di reddito che viene bloccato è quello del lavoro dipendente, e una più ravvicinata che è quella che fanno componenti anche molto moderate, le quali sostengono che la politica della concertazione può funzionare per un brevissimo periodo di tempo, altrimenti produce guasti e misfatti profondi. Vita: No alla concertazione governo-parti sociali, dunque, ma nemmeno sì al dialogo con Confindustria? Bertinotti: Intanto non mi pare in corso una ricostruzione della concertazione triangolare governo-parti sociali. Questa proprio non c?è, al di là delle mie considerazioni critiche di merito. Vedo ripartire il dialogo sindacati-Confindustria, ma è un?altra cosa. Questa vedremo come evolverà, dipende dai contenuti. Bisogna ripartire da questa ripartizione del reddito sciagurata, un elemento che oltre a produrre ingiustizia sociale produce anche fenomeni di crisi in una condizione in cui le esportazioni sono fortemente condizionate dall?emergere di economie competitive molto forti e l?Europa ha un problema di domanda interna insormontabile. Quindi il problema è far ripartire salari e pensioni. Vita: La sinistra viene sempre identificata come il partito della spesa. Ma è proprio impossibile coniugare alleggerimento della pressione fiscale e difesa dello Stato sociale? Bertinotti: Innanzitutto sono fiero di essere identificato con il ?partito della spesa?! Senza spesa sociale c?è una regressione di civiltà. Poi sì, credo sia impossibile: i Paesi che hanno i migliori sistemi sociali sono i Paesi che hanno decenti livelli di tassazione. E del resto in un Paese come l?Italia in cui c?è una rendita imponente e un?evasione fiscale gigantesca, voler ridurre le tasse vuole dire semplicemente contribuire a mantenere in piedi un sistema dove gli straricchi non pagano le tasse e il lavoro dipendente (l?unico che viene tassato alla fonte) ha su di sé l?intero carico fiscale del Paese. Vita: Che cosa indicano le dimissioni di Tremonti da ministro dell?Economia e l?interim di Berlusconi? Bertinotti: La crisi di questa politica, e cioè di una politica economica neoliberista che il governo ha perseguito, ma anche una crisi profonda del sistema politico berlusconiano, crisi che è stata messa in luce prima da una fortissima ripresa della stagione dei conflitti sociali, e quindi di perdita di consenso di massa di quella politica, e poi si è manifestata con il cambio della direzione di Confindustria e altre vicende che segnano la crisi del blocco sociale che aveva supportato la politica berlusconiano. Vita: Ma la richiesta di elezioni anticipate non è una fuga in avanti, da parte dell?opposizione? Bertinotti: Se è vera l?analisi che ho fatto, no. è evidente che, di fronte all?esplodere di questa crisi, sarebbe un danno drammatico per il Paese lasciare marcire questa situazione, sprofondare mentre c?è bisogno di una grande politica economica e sociale. Mentre Francia e Germania s?incontrano per concordare politiche di salvataggio pubblico per grandi aziende considerate assi strategiche dei loro Paesi, lasciare decomporre un sistema in crisi sarebbe questo un segno di irresponsabilità. Vita: Letta e Bersani girano per distretti industriali. Bonomi parla di ?capitalismo coalizionale?. Rifondazione vuole contribuire a dare una mano al capitalismo nostrano per uscire dalla crisi? Bertinotti: Beh, detta così, tout le monde risponderebbe di sì… Il giro di Letta e Bersani l?ho apprezzato, bisognerà vedere poi, però, le loro proposte di merito. Bonomi dice una cosa un po? più sofisticata, ha indagato con intelligenza e acutezza la realtà del Nord-Est, ne ha visto punti di forza e di crisi, non s?è mai lasciato andare alla banalità del piccolo è bello, ha visto la crisi dei distretti industriali. Io credo che bisogna capire le ragioni per cui queste coalizioni così forti siano in una crisi così profonda e come mai la linea della delocalizzazione che hanno usato sia il Nord-Est che i distretti della costa adriatica per reagire non li abbia portati lontano. De te fabula narratur: la crisi dei distretti industriali è la crisi di questo modello di sviluppo. Vita: Passiamo a dei temi cari al mondo del non profit. Si parla di introdurre il principio della sussidiarietà nella Costituzione, via riforme. Perché la sussidiarietà orizzontale non vi piace? Bertinotti: Il discorso sulla sussidiarietà ha voluto dire in larga misura la privatizzazione dei servizi e la riduzione della loro qualità. Non vanno discussi principi astratti ma processi concreti. Una tecnica simile, per dire, dà risultati opposti con la pratica e la tecnica del bilancio partecipativo e del municipio solidale: non è la tecnica che decide, dunque, ma l?ispirazione politica generale e la pratica concreta. Il bilancio partecipativo ha un effetto benefico, dunque, sulla vita della gente, la sussidiarietà ammantata dal federalismo un effetto dannoso. Vita: Il non profit da un lato firma patti di consultazioni con il sindacato, dall?altro chiede una fiscalità meno onerosa per le sue attività. Come giudica le evoluzioni e la crescita di peso di questo mondo? Bertinotti: Interessante se si applica in maniera non sostitutiva allo Stato sociale e alla cittadinanza sociale garantita dallo Stato sociale medesimo perché può esplorare terreni inediti di relazione tra il servizio sociale e la persona e ne determina elementi di ulteriore arricchimento. Se invece si sostituisce allo Stato sociale concorre a determinare un abbassamento della qualità generale dei servizi. Quindi, grande interesse e grande favore se complementare. Aggiungo che anche in questo caso è necessario che venga mantenuto un rapporto fecondo tra mezzi e fini e cioè tra l?erogazione di una prestazione sociale e la garanzia dei diritti di coloro che nell?erogazione dei servizi lavorano. Vita: E lo sviluppo di un fenomeno come quello dell?impresa sociale come lo giudica? Bertinotti: Se non mi fa esempi concreti non capisco. Un?impresa che scopo ha? Serve a produrre che cosa? Bene se integrano servizi sociali pubblici, male se li sostituiscono. Il volontariato è un bene in sé e un fattore di straordinaria crescita della società civile, ma quando e se si fa impresa va giudicata come impresa. è una storia che abbiamo già conosciuto con il mondo cooperativo, che nasce agli albori del movimento socialista con questa straordinaria idea di cooperazione mutualistica, poi è diventata impresa e abbiamo visto il conflitto di lavoro esplodere come in una qualsiasi impresa. Una volta che diventa adulto va giudicato nelle finalità che produce e nel rapporto tra mezzi e fini. Vita: Passando alle cose di casa sua, Rifondazione da un lato cerca un ?passaggio di fase? magari simile a quello del passaggio epocale dalla figura del militante a quella del volontario, come le suggerisce Marco Revelli, dall?altro teorizza la pratica della nonviolenza come un valore in sé. Che dire, complimenti per il coraggio? Bertinotti: Abbiamo organizzato una riflessione con molto impegno assieme al movimento di critica alla globalizzazione e al movimento della pace con i contributi di compagni come Revelli, come di altri pensatori verso cui abbiamo debiti, da Danilo Dolci ad Aldo Capitini, e l?abbiamo fatto convinti che in un mondo monopolizzato dalla violenza dell?Impero, della guerra preventiva di Bush, lo scacco possibile alla guerra è quello della pace e la nonviolenza è qui e ora – senza esplorarne la dimensione etica, che richiederebbe ben altro ordine di ricerca – ,il modo attraverso il quale i soggetti critici possono oggi riappropriarsi del futuro e sconfiggere la guerra. Un?idea che ci aiuta a esprimere la radicalità di una critica, non certo per addivenire a compromessi. Vita: Visto che parliamo di movimento e movimenti, vogliamo fargli anche qualche critica? Bertinotti: Il limite più serio credo sia quello di non essere in grado di articolare e dare continuità a questa capacità di intervento nei processi. Il limite è quello di un insufficiente grado di unificazione dei diversi movimenti: la nostra deve davvero tornare ad essere una ?unità plurale?, quella che nella Genova prima della tragedia univa la suora che pregava a Boccadasse alle tute bianche che cercavano di forzare la zona rossa, legati tutti dallo stesso filo condiviso, produttore di diverse esperienze. Questo movimento però, ribadisco, si capisce solo dall?interno, non si può capire dall?esterno. Ho visto grandi personalità, leader storici, non capirci nulla. Bisogna starci e camminarci dentro.


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