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Non profit, la ricetta di Tronchetti

Un intervento del presidente di Pirelli e Telecom

di Redazione

Per chi non opera in questo ambiente risulta sicuramente sorprendente la varietà e la dimensione delle iniziative poste in essere dalle tante realtà non profit presenti sul territorio. Si parla di 200 mila organizzazioni con circa 700.000 dipendenti e 5 milioni di volontari, inquadrate sotto forme giuridiche svariate, come associazioni, cooperative sociali, fondazioni di diversi tipi, ecc.. L’incidenza stimata di fatturato rispetto al Pil è del 2.7% (6-7% in Usa, 5% in Gran Bretagna, 3-4% in Germania e Francia).
Si è più volte sottolineata, da parte degli addetti ai lavori, la difficoltà nel censire questa grande varietà di entità per le quali ancora non esiste un sistema consolidato di rilevazione. Ciò perché il settore del non profit si è sviluppato in pochi anni e, come spesso accade nel nostro Paese, non ha potuto far leva su strumenti legislativi che venissero via via adeguati alla realtà che si stava trasformando.
Occorre innanzitutto considerare, quello che è in fondo un punto di debolezza: nel settore, nato e cresciuto spontaneamente, è rimasta una grande varietà di forme giuridiche. Il Decreto legislativo del 1997 sulla disciplina delle Onlus è uno strumento importante perchè dà uno schema di riferimento preciso, cui molti possono adeguarsi, ma non è sufficiente a fornire quel sostegno allo sviluppo del non profit di cui il nostro Paese ha tanto bisogno.
Si valuta che in un quinquennio, tra il 1994 e il 1999, le iniziative siano raddoppiate di numero e che gli addetti siano quasi triplicati. Inoltre crescono i compiti ad esse affidate, la cultura della sussidiarietà e della devolution fa del non profit un attore importante. La necessità di contenere la spesa pubblica pur aumentando le risorse disponibili per sanità, assistenza, beni culturali, ricerca, ecc. porterà nuovi compiti alle iniziative private negli anni a venire.
Va detto subito che in un universo così differenziato di piccole unità emergono le Fondazioni Bancarie, le realtà più ricche di tutto il terzo settore, con un patrimonio di 60-70 mila miliardi che produce ogni anno risorse per alcune migliaia di miliardi da destinare a scopi di pubblica utilità. Esso si confronta con gli 11.000 miliardi di patrimonio delle 1.500 fondazioni italiane di diritto civile. Da questo nucleo importante si potrebbe far partire un nuovo autentico settore di Fondazioni grant-making, o di erogazione, sullo schema delle fondazioni americane, che hanno la finalità di distribuire i proventi del patrimonio ad altre organizzazioni che perseguono cause meritevoli.

La questione fund raising
La raccolta dei capitali è uno dei principali problemi per molti operatori del non profit.
In Italia più che altrove il problema del fund raising è fondamentale. La particolare struttura proprietaria mette queste organizzazioni su di un piano di inferiorità nell’accesso al mercato finanziario: sia al capitale di rischio sia ai crediti. Il nostro sistema creditizio tende a concedere credito solo su garanzie reali o sulla base di prospettive reddituali future. Esse quindi sembrerebbero destinate a proseguire in una dimensione insufficiente e con poche possibilità di uscire da questo circolo vizioso.
Per ovviare a questo inconveniente si è sviluppata nei paesi avanzati la cosiddetta finanza etica, o meglio finanza specializzata nell’indirizzare denaro verso le organizzazioni senza scopo di lucro. Già alcune importanti banche italiane hanno sviluppato conti correnti, fondi di investimento specializzati in “solidarietà”, ma dai pochi dati disponibili dobbiamo riconoscere che è enorme il divario che ci separa dai paesi avanzati. Per esempio, in Italia gli investimenti “etici” sono lo 0,8% delle masse gestite, contro il 13% degli Stati Uniti, il 9% del Regno Unito, l’8% della Francia.
Per il nostro Paese è indispensabile moltiplicare questi strumenti diffondendoli tra le banche tradizionali e incoraggiando la creazione di intermediari finanziari e creditizi specializzati nel raccogliere risparmio presso il pubblico e presso i propri soci per finanziare a condizioni agevolate le organizzazioni non profit.
Due punti importanti restano da analizzare, quello della fiscalità, largamente trattato nel rapporto del Certi, e quello dei vincoli statutari previsti dalle diverse discipline sugli enti non profit, vincoli che andrebbero attenuati per favorire l’ampliamento della platea degli interessati.
Le agevolazioni fiscali previste dalle diverse leggi in vigore in Italia sono insufficienti a favorire afflussi cospicui di donazioni e di contributi personali. Le esenzioni fiscali finora consentite sono modeste, e d’altra parte, è corretto che venga favorito con adeguati interventi agevolativi, chi offre una cosiddetta liberalità in natura, ad esempio prestando opera di volontariato, come chi offre liberalità in denaro. Il regime della Onlus va sicuramente favorito per avere uno schema comune di riferimento, ma anche ad esse va applicata una maggiore consistenza delle agevolazioni fiscali data anche l’esigenza di una maggiore ampiezza negli obiettivi previsti.

E le Fondazioni?
Tutto questo dovrebbe, come si è detto, accompagnarsi ad una maggiore incisività e “modernità” del ruolo delle Fondazioni (bancarie e non) che sono la prima leva da muovere in questo mondo del non profit così vario e ancora alla ricerca di una struttura e di un riconoscimento.
Parlando di agevolazioni e sostegni pubblici al non profit, va detto con chiarezza che occorre assolutamente evitare che essi vengano attribuiti ad organismi che poi svolgono impropriamente attività commerciali o industriali, conducendo così azioni di concorrenza sleale nei confronti delle altre imprese e falsando le regole del mercato. L’utilizzo di efficaci strumenti di controllo dovrebbe peraltro controbilanciare la maggiore flessibilità degli obiettivi e le più elevate agevolazioni fiscali.
Il contributo del Certi è molto importante: il terzo settore in Italia ha bisogno di regole moderne, di più coraggio nell’incentivare i donatori, di più persone con formazione specifica che prestino la propria opera. Onlus, fondazioni, associazioni e altre figure possono sussidiare con il vantaggio di tutti, attività diffuse sul territorio che lo Stato svolge meno bene di quanto farebbero i privati e a costi più elevati. Questo vale per il terzo settore di cui parliamo oggi, ma vale anche per la Previdenza: i Fondi pensione sono un modo per sussidiare parte di un’attività che lo Stato svolge a costi altissimi.
Liberalizzare l’economia vuol dire diffondere le attività dallo Stato a diversi soggetti professionali. Formazione, regole adeguate, controlli efficaci sono la base per costruire un terzo settore ben funzionante. Su questa strada abbiamo l’esempio di molti Paesi e anche le autorevoli osservazioni espresse in svariate occasioni da economisti e sociologi e in particolare da Antonio Fazio.
Oggi il non profit è ancora un settore in costruzione. Occorrono miglioramenti nella legislazione societaria e fiscale, una crescita degli strumenti finanziari e un numero rilevante di professionisti preparati. Lo sviluppo in corso deve avere una direzione e le modalità più adeguate: i tempi stanno rapidamente maturando e l’Università Bocconi è, come spesso accade, in prima fila nel dare contributi concreti.

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