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Non profit. Dialogo con Tremonti sulla “rivoluzione” fiscale. La svolta di Giulio

"Il vero scontro non è tra destra e sinistra, ma tra vecchio e nuovo. E per riformare il welfare occorre mettere in campo qualcosa di davvero nuovo".

di Riccardo Bonacina

La prima volta di Tremonti fu il 29 marzo 2004. L?uscita decisa e ragionata a favore del terzo settore e della sua centralità nel futuro welfare fu all?università Cattolica, alla presenza del cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, e del rettore della Cattolica e presidente dell?Agenzia per le onlus, Lorenzo Ornaghi. Il professore, sappiate che questo è il titolo che preferisce e quello a cui più tiene, altro che onorevole o ministro, sceglie le occasioni per le sue uscite con cura, potrà essere antipatico ma non è certo un pasticcione. Al convegno in Cattolica l?allora ministro dell?Economia disse che «il non profit è un universo meritevole di deduzione fiscale e che il terzo settore che già svolge un ruolo centrale nella vita civile, va sostenuto affinché possa consolidarlo». Da allora, potete immaginarlo, non ci siamo persi una battuta delle uscite di Tremonti sul tema, aspettandolo al varco di un attesissima uscita a favore del disegno di legge n. 3459 da noi promosso con il noto slogan + Dai -Versi. E invece nulla, a fronte di un crescendo inaspettato di interventi e articoli, sulla + Dai -Versi neppure un accenno. Un silenzio prevedibile, visto il ?caratterino dell?uomo? (parole di Berlusconi, non nostre), forse per distrazione (l?agenda di Tremonti è stata da marzo in poi davvero complessa), o forse perché la platea bipartisan dei sostenitori è già talmente affollata da sconsigliare protagonismi a ?un primo della classe? per antonomasia. Finché il professore, dapprima con annunci e dichiarazioni e poi con un vero e proprio atto parlamentare, il 25 gennaio scorso se ne esce con una proposta di legge che chiede l?introduzione di un secondo 8 per mille a favore del volontariato e della ricerca scientifica. Ovviamente, su questo giornale, plaudiamo ai ragionamenti ma critichiamo il dispositivo, l?ennesimo, sottolinea Vita, che regolerà il rapporto tra fisco e non profit. A questo punto il dibattito, si dice il professore e ci diciamo noi, non può più essere a distanza, occorre un confronto, sulle idee e sulle proposte. Vita: Professore, innanzitutto una curiosità, ma quando le è nata questa attenzione al terzo settore? Giulio Tremonti: Non le sembri una stranezza, ma la mia riflessione è iniziata durante le lunghe notti all?eurogruppo a Bruxelles, quando con i ministri dell?Economia dei Paesi dell?Unione si discuteva di come il welfare che abbiamo conosciuto non avrebbe retto di fronte alle curve demografiche non più in grado di sostenerne i costi. In quella sede si discuteva dei nuovi cicli di riforme strutturali necessarie (pensioni, sanità) e della drammatica assimetria tra risorse disponibili e bisogni. Vede, i grandi numeri non sono né di destra né di sinistra e chiunque governi non si può accontentare di inventare e proporre risposte illusorie. Vita: Chiaro, ma il terzo settore? Tremonti: Non si può pensare di entrare nel futuro con i vecchi meccanismi. Per cominciare a cambiare, però, non serve molta fantasia. Basta non essere ciechi. Basta guardare all?esistente, per valorizzarlo. Per esempio guardare ai grandi numeri del terzo settore, numeri che dicono che quanto lo Stato sociale garantisce, in termini di orario di lavoro ridotto o di età di pensione anticipata, la società lo ?restituisce? in abbondanza, trasformando il ?tempo libero? e l??età di riposo? in forme sempre più intense di solidarietà sociale e di impegno civile. La generosità dello Stato sociale è dunque ?restituita?, con una parallela generosità della società. Vita: Certo, un settore che dà molto ma riceve pochissimo, lo diciamo da 10 anni. Tremonti: è vero, oggi mi è chiarissimo. Il ?primo settore? (il privato) finanzia il ?secondo settore? (lo Stato), quasi con la metà del suo prodotto. Il ?secondo settore? trasferisce invece al ?terzo settore? solo le briciole di quanto riceve. Dare così poco, viste le enormi potenzialità del terzo settore, è insieme un?occasione sprecata e un errore. Valorizzare il terzo settore, come so avete già sostenuto, non sarebbe un costo, ma un investimento. Non una spesa, ma all?opposto un risparmio. In specie, per una società che in futuro sarà relativamente sempre più vecchia e sempre meno ricca, il terzo settore è l?unica speranza per produrre, con costi limitati, ma con effetti moltiplicatori, invece, quasi illimitati, la massa crescente di servizi sociali di cui abbiamo (e avremo) sempre più bisogno. Vita: Purché questo non significhi la dismissione dei doveri dello Stato… Tremonti: Vede i bisogni sociali sono cambiati e sono più numerosi e articolati nella società del benessere che abbiamo la fortuna di abitare. Lo Stato burocratico da solo non sarebbe capace di produrre o, comunque, di pagare, la crescente domanda di servizi. Perché lo Stato burocratico è già ora fin troppo grande e fin troppo costoso. Ed è una macchina a rischio dispersione e corruzione. La soluzione non è dunque e non può essere: più servizi sociali statali e più tasse per pagarli, immaginando un?illimitata e impossibile espansione dell?imposizione fiscale. Certo, garantire il funzionamento dello Stato sociale, rimane un nostro dovere. Ma dobbiamo anche necessariamente pensare a qualcosa di nuovo. Ecco la discriminante vera, non tra destra e sinistra, ma tra vecchio e nuovo. Vita: Professore, a proposito di novità, l?introduzione della deducibilità fiscale sulle donazioni alle onlus ci pare una grande novità in un Paese così statalista e così avaro con il terzo settore. Tremonti: Una grande novità, tanto è vero che a questo principio si ispiravano molti passaggi della mia legge delega sulla riforma fiscale, e proprio nei punti dedicati al settore non profit e ai consumi sociali. Oggi, il disegno del circuito politico-finanziario è essenzialmente verticale e centrale. Si presume, infatti, che tutto il pubblico sia statale e che esso si finanzi via bilancio pubblico. Si presume, poi, che su tutto il bilancio pubblico possa decidere solo la politica. È così che la politica fa da decisore onnipotente ed unico sulla spesa pubblica. Ma questo, è uno schema superato dalla realtà: non tutto il sociale e ciò che è pubblico (e sempre meno lo sarà) è, infatti, statale. Se la struttura sociale è cambiata, deve cambiare anche la struttura politica. Se il ruolo della società cresce, il circuito politico-finanziario non può restare tutto verticale e centrale. Per una società sempre più matura non è più solo questione di controllo democratico sul livello della tassazione. è politicamente strategico un crescente e più diretto coinvolgimento della società nelle scelte di destinazione e di gestione delle risorse pubbliche. Oggi il cittadino vuol essere in qualche modo padrone della sua imposta e perciò vuole influire sulla sua destinazione, da questo punto di vista la + Dai -Versi e la mia proposta di un secondo 8 per mille rispondono alla stessa volontà di innovazione e modernità. Entrambe le proposte allargano il campo di applicazione della ?imposizione volontaria?, perciò sono politicamente ?rivoluzionarie?. Perché trasferiscono quote di potere e di responsabilità dallo Stato alla società. Vita: Quindi la deducibilità delle donazioni e l?8 per mille al volontariato e alla ricerca scientifica sono misure parallele? Tremonti: Certo, non sono in contraddizione, sono misure parallele e ispirate allo stesso ?rivoluzionario? principio. La deducibilità per le donazioni agisce nella determinazione dell?imposta, cioè agisce ex ante, sai quanto dai e quanto risparmi. L8 per mille agisce a valle, cioè sull?imposizione dovuta, contribuendo a indirizzare una piccola parte dell?imposta versata verso una destinazione decisa dal cittadino.


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