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«Non nascondiamo nulla. Neanche gli aiuti ai figli dei martiri»

Per Mahmud Ramahi, «Hamas è al governo grazie a servizi sociali, ospedali e scuole» ed è pronta al dialogo con la comunità internazionale

di Daniele Biella

Leader di Hamas a Ramallah, il neodeputato Mahmud Ramahi, 43 anni, ha avuto l?incarico di segretario generale del Parlamento palestinese. Esponente moderato del movimento islamico vincitore delle ultime elezioni, Ramahi ha vissuto in Italia per dieci anni, fino al 1989, laureandosi in medicina alla Sapienza di Roma. Vita l?ha raggiunto nella sua abitazione di Ramallah.

Vita: La vittoria di Hamas deriva dalla forte attenzione verso le esigenze primarie della popolazione?
Mahmud Ramahi: È dal 1980 che, attraverso i molti comitati di carità, ci occupiamo di servizi sociali. Da allora abbiamo aperto centri medici e scuole in numerose città e villaggi. Abbiamo in tal modo creato una rete di lavoro sociale che oggi ci ha portato al governo. Alle famiglie chiediamo un piccolo
contributo, sia per le visite mediche, sia per l?iscrizione scolastica. Se
invece una famiglia è povera, può accedere ai servizi senza pagare niente. Lo stesso vale per i figli dei prigionieri politici e dei martiri. Se le persone hanno i soldi, pagano normalmente come in qualsiasi altro posto; la maggioranza
mette una partecipazione minima, poi ci sono quelli che non possono pagare: noi mandiamo degli osservatori sociali nelle loro case, se questi sono veramente poveri non danno nulla. Anzi, ad alcuni passiamo un contributo mensile, per vivere meglio. Personalmente, come medico ho lavorato cinque anni in un centro sanitario gestito attraverso la Zakat, quindi so benissimo come funzionano queste opere di carità.

Vita: Per quanto riguarda le vostre scuole, come sono strutturate e quali
materie si insegnano?
Ramahi: Seguiamo i programmi del governo palestinese, che fornisce i libri di testo agli alunni. Nelle nostre scuole gli alunni ricevono la stessa
educazione degli altri, con l?unica differenza che c?è una materia, la religione
islamica, alla quale dedichiamo più ore degli altri istituti, cinque- sei ore al posto di tre. Tutto il resto è uguale, comprese le lingue straniere. L?inglese lo si insegna dal primo anno, poi al quinto si sceglie un?altra lingua: c?è chi sceglie l?ebraico, la lingua dei nostri vicini, mentre c?è chi va verso la lingua francese. Tutti gli studenti e i docenti sono palestinesi
per il semplice fatto che nessuno straniero può stare qui senza il permesso
degli israeliani. Se potessero arrivare, per noi sarebbe una buona cosa. Ogni tanto arrivano degli ?ospiti? non palestinesi, con loro partecipiamo ad attività sportive ed educative. Da questi ospiti europei e dal resto del mondo riceviamo anche aiuto economico; ci sono ospedali e scuole costruite da persone di diversi Paesi dell?Unione Europea.

Vita: In passato si è detto che le vostre scuole, pur aperte alla comunità internazionale, erano, per i ragazzi, luoghi in cui cresce il loro risentimento verso Israele….
Ramahi: Queste scuole sono aperte al controllo del governo palestinese
e di chiunque voglia vederle. Per quanto riguarda, invece, l?accusa di fomentare odio tramite gli insegnamenti, mi sento di dire che il popolo palestinese ha del risentimento non per quello che impara a scuola, bensì per quello che vede nelle strade. Noi come parlamentari, ad esempio, non possiamo andare fuori dalle nostre città perché ci arrestano. Queste sono le cose che creano l?odio, non l?insegnamento delle scuole. Noi abbiamo detto tante volte agli israeliani: «State fuori delle nostre città, vedrete che l?odio diminuisce ».

Vita: Se Israele cambiasse atteggiamento, sarete disposti a un dialogo?
Ramahi: Adesso Israele si trova in campagna elettorale e in momenti come questi si dicono tante cose per vincere le elezioni. Se dopo il primo aprile Israele cambierà la propria posizione nei confronti del nostro popolo, vedremo. Quel che è certo è che noi dialogheremo con la comunità internazionale, che deve farsi garante di qualsiasi accordo a cui arriveremo.

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