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Non mettiamo in quarantena la fiducia
Per il rischio pubblico è stato inventato il welfare state, per i rischi privati, le assicurazioni. Ma per affrontare la società del rischio, in questo momento di discontinuità, non bastano né il "rimedio" pubblico, né quello privato: serve il potenziamento della comunità e della società civile. Far cooperare le persone è l'unico modo per uscire dal clima di panico e paura
Certi salti di qualità, purtroppo, avvengono solo in momenti di shock. Accade allora che l'avversione al cambiamento crolla, perché la realtà cambia di per sé. Ma quando la realtà cambia di per sé il tema diventa riadattarsi a un ambiente diverso. Credo sia questo il punto da mettere in evidenza, partendo dal cambio di prospettiva che, giustamente, Vita, con i suoi interventi sta cercando di portare sulla situazione che stiamo vivendo.
In questi giorni stiamo attraversando una situazione dove, accanto ai rischi esogeni siamo stati incredibilmente "capaci" di generare un pericolo endogeno. Ed è un pericolo enorme, che andava assolutamente evitato: la crisi della fiducia.
La salute come bene comune
Si è dissolta l'autorevolezza di ogni autorità, sia dal punto di vista della politica, con il litigio fra istituzioni, sia dal punto di vista della scienza, dove il dibattito tra virologi ha creato un corto circuito che sta paralizzando ogni capacità di discernimento rispetto a una situazione che segna un cambio e una discontinuità.
Assistiamo a uno scadimento complessivo della qualità del dibattito. Questo scadimento, svuotando di fatto di autorevolezza ogni autorità, produce un relativismo assoluto che, a sua volta, genera una situazione dove ciascuno non può che sentirsi indifeso in un ambiente che viene percepito come il primo nemico da cui difendersi.
Questa situazione paradossale ha prodotto una quarantena che, prima che fisica, è una quarantena delle fiducia. Abbiamo messo in quarantena la fiducia e ne stiamo vedendo gli effetti.
Attenzione, perché la paura, potenzialmente, può essere un collante e un fattore di legame sociale. Le persone, quando provano paura, possono mettersi insieme. Ma la paura ricombinata con la sfiducia crea una dissoluzione potenzialmente devastante dei meccanismi cooperativi, come ha messo in evidenza Marco Dotti nel suo articolo sul tema della società civile organizzata.
Il fatto che la gente cooperi è l'unico modo di affrontare la paura. Non siamo davanti alla necessità di tutelare un bene privato e nemmeno di difendere un bene pubblico, siamo davanti alla grande questione del bene comune. In queste situazioni di crisi capiamo che la salute è un bene comune. Ma i beni comuni postulano una convergenza di azioni e interessi, una prassi collaborativa e cooperativa che non si è vista. La conseguenza è che ognuno fa per sé e le scelte delle persone sono declinate sul piano individuale: questo è il vero "disastro" da cui bisogna partire ricomponendo il quadro.
Il primo grande schiaffo alla globalizzazione
Uno dei cocci più grossi di questa situazione in frantumi, un coccio di cui dobbiamo inevitabilmente farci carico è quello dell'economia. Il soggetto che ha più bisogno di fiducia è l'economia, perché senza fiducia l'economia non produce scambi. Senza fiducia gli scambi non solo costano di più, ma non si attivano. Senza scambio l'economia crolla. Un crollo che stiamo già registrando: le cooperative sociali, il turismo, il commercio di prossimità, il made in Italy…
La politica ha trattato tutto come un mero problema sanitario, senza capire che proprio questa visione miope, unita alla mala gestio del problema ha intaccato la fiducia. E sta producendo danni all'economia che sarà davvero difficile recuperare.
Sono certo che torneremo alla normalità dal punto di vista socio-sanitario, ma sono preoccupato del tempo che ci servirà per recuperare la strada persa. Tra l'altro in una discontinuità che cambia lo scenario. Questo è il primo grande schiaffo alla globalizzazione: si sono rotte le catene tradizionali di produzioni del valore, si è interrotta la dimensione di filiera.
Tecnologia, modelli agili, impresa: dove stiamo andando
Ma guardiamo le opportunità, non solo i problemi. In questa situazione si apre una grande sfida per gli imprenditori. Imprenditore, ricordiamo, è quel soggetto che non è avverso al rischio. Ma in questi giorni, gli imprenditori si trovano a gestire rischi sistemici: la salute, la sicurezza sul lavoro, il welfare e il benessere dei lavoratori, la comunicazione, le strategie. Tutte cose giocate su scenari-limite.
Questo ci porta a considerare un fatto: la discontinuità farà sì che proprio quegli imprenditori che riusciranno a convivere con la nuova dimensione di rischio avranno un grande vantaggio competitivo.
Un altro grande tema che si apre è quello della tecnologia. Abbiamo sempre discusso cercando di capire se la tecnologia fosse buona o cattiva. Oggi capiamo quanto sia necessaria: modelli di gestione più agili, la possibilità di lavorare a distanza, etc.
Tutte cose che conoscevamo, ma oggi ne capiamo il valore. Lo capiamo nei fatti. La situazione che stiamo attraversando ci ha portati a non dare più per scontate alcune cose che, fino alla settimana scorsa, davamo per tali. Ci ha ricondotti a un rapporto più concreto con la realtà e a una relazione con ciò che abbiamo e con gli altri molto diversa: questo può essere un bene.
Il ruolo cruciale della società civile in una società del rischio
Ma proprio per questa ragione credo che la discontinuità che stiamo vivendo non possa essere trattata come un lutto. Non possiamo attendere che "passi la nottata": la grandissima sfida è vedere questo tempo, un tempo dove il rischio diventa esperienza umana e imprenditoriale, un'occasione per uscirne tutti migliori. La società civile entra in gioco proprio a questo livello, dove il rischio del singolo, condiviso con gli altri, diventa sfida per il bene comune potenzialmente capace di generare un salto incrementale.
Per il rischio pubblico è stato inventato il welfare state. Per i rischi privati, le assicurazioni. Ma per questo tipo di rischi non bastano né il "rimedio" pubblico, né quello privato. Serve il potenziamento della comunità e della società civile. In una società del rischio, se non rimettiamo al centro la società civile anche coprirci dai nuovi rischi, di cui il coronavirus è solo un aspetto del problema, non ne usciremo mai. Per questo dobbiamo insistere su questo punto: è la realtà a chiedercelo.
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