Famiglia

Non “loro” ma “noi”: il nuovo sguardo della Chiesa sulla disabilità

La disabilità come conseguenza del peccato originale o come grazia: sono queste le tradizionali letture che la Chiesa ne ha dato. Nessuna delle due corrisponde all'esperienza reale delle persone con disabilità. La Civiltà Cattolica rilegge ora la disabilità come qualcosa che non riguarda un "loro" ma tutti noi e che - mettendo l'accento sull'esperienza della interdipendenza e della relazione - diventa segno della vita divina

di Justin Glyn

A metà dicembre la diocesi di Roma aveva presentato il Vademecum per la pastorale delle persone con disabilità, intitolato “Nessuna anima è disabile”, atteso per marzo 2020. Ora La Civiltà Cattolica (quaderno 4069, 4 gennaio 2020, quello dei 170 anni della rivista, occasione in cui Papa Francesco le ha augurato un «non accontentatevi di fare proposte di rammendo o di sintesi astratta: accettate invece la sfida delle inquietudini straripanti del tempo presente, nel quale Dio è sempre all’opera») pubblica un articolo a firma di padre Justin Glyn, gesuita, docente di Diritto canonico al Catholic Theological College di Melbourne, ipovedente, dal titolo «Noi», non «loro»: la disabilità nella Chiesa. Un testo profondo, che fa i conti con le posizioni tradizionali della Chiesa cattolica sulla disabilità – da un lato la disabilità considerata come conseguenza del peccato originale (quasi una traduzione teologica del «modello medico» della disabilità), dall’altro come grazia particolare. Due concezioni estreme, nessuna delle quali corrisponde all’esperienza vissuta dalla maggior parte delle persone con disabilità. L’articolo invece cerca di presentare una sana comprensione della disabilità, basandosi sulla Sacra Scrittura, sulla tradizione e sui documenti del Concilio Vaticano II, superando l’idea che la virtù sia nel «prendersi cura» delle persone con disabilità, riducendole a mero «oggetto di cura» e non nei disabili stessi. [Ndr]

La retorica dell’inclusione, che governi e altri attori sociali hanno adottato in relazione alla disabilità, maschera una realtà più deludente. La nostra Chiesa cattolica vanta una lunga e considerevole teologia e storia della dottrina sociale. Anche per questo oggi è chiamata ad esprimersi in modo più chiaro sui diritti delle persone con disabilità. Pochi cattolici disabili sono stati coinvolti nella teologia della disabilità; di conseguenza, la nostra esperienza vissuta non è entrata a far parte dell’autocomprensione della Chiesa.

La concezione della disabilità nella Chiesa

Le dichiarazioni ufficiali della Chiesa in questa materia si sono mosse tra due estremi scomodi, a volte anche in uno stesso documento. Da una parte, si è vista la disabilità come una conseguenza del peccato originale, sostenendo che a causa di esso l’immagine di Dio era stata «oscurata» nelle persone disabili. Dall’altra parte, si è sostenuto che le persone con disabilità, lungi dall’essere segni della peccaminosità umana, sono state benedette più di chiunque altro, avendo ricevuto la grazia di soffrire per tutti. Nessuna delle due posizioni corrisponde all’esperienza vissuta della maggior parte di noi che siamo disabili. La disabilità ha luogo in tutte le forme e misure possibili. Le nostre vite sono variegate come quelle di chiunque altro. Pertanto, come possono le recenti tendenze della teologia cattolica e della dottrina sociale offrire un terreno più saldo, in generale, su cui basarsi per parlare della disabilità con la Chiesa e con il mondo? E come possono farci capire che le persone con disabilità e quelle senza sono, insieme, un «noi» piuttosto che un «loro»?

Negli ultimi tempi, almeno nella maggior parte delle società occidentali, ci si è allontanati dal tradizionale «modello medico» adottato per parlare di disabilità. Esso vede questa condizione come un problema clinico da risolvere e la considera una deviazione «anormale» dalla «normalità». Si concentra sulla differenza percepita per separare i «disabili» dalla «norma». Invece, la maggior parte di noi che soffriamo di disabilità e possiamo riflettere su di essa, ne abbiamo una visione «sociale»: in altre parole, noi vediamo che il problema sono le barriere poste dalla società, piuttosto che noi stessi o qualche nostra caratteristica. La nostra menomazione è quindi la carenza della funzione fisico-mentale (per esempio, io ho un danno agli occhi) che sperimentiamo. La nostra disabilità, d’altra parte, è l’interrelazione tra la menomazione e l’ambiente sociale-fisico, che ci impedisce di godere pienamente la vita. Come vedremo, anche questo causa problemi. La disabilità e la menomazione non sono facili da descrivere – o da distinguere dalle abilità – come sembrano. Tuttavia, per cominciare, ci riferiamo alle incapacità che le persone sperimentano come menomazioni, e alle persone con menomazioni che agiscono nel contesto di società che generalmente si attengono ai parametri delle persone non disabili.

«Modello medico» delle disabilità e disabili come «anime vittime» per gli altri

La dottrina sociale della Chiesa cattolica ha sempre sostenuto la dignità di ogni essere umano in quanto creato a immagine di Dio. Purtroppo, una delle difficoltà in cui la Chiesa si è spesso imbattuta nel parlare di disabilità è stata quella di determinare che cosa sia l’«immagine di Dio» e che cosa essa significhi per un’umanità che si presenta in molte forme e dimensioni e con un’ampia gamma di capacità fisico-mentali. La nostra tradizione ci rappresenta creati a immagine di Dio e, di conseguenza, costituiti per un rapporto speciale con lui (cfr Gen 1,26-27). Spesso, però, l’«immagine di Dio» è stata concepita nei termini di ciò che gli esseri umani possono «fare»: in altre parole, essi devono avere le capacità di Dio. In base a questa interpretazione, la capacità limitata dell’uomo compromette in lui l’immagine di Dio. Questa è la versione teologica del «modello medico» delle disabilità: veniamo definiti a partire da ciò di cui manchiamo. La mancanza di alcuni dei presunti attributi di Dio viene allora attribuita al peccato.

Per leggere l’articolo integrale, www.laciviltacattolica.it

*Justin Glyn insegna Diritto canonico al Catholic Theological College di Melbourne (Australia)

Foto di Remo Casilli/Ag.Sintesi

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