Welfare

Non lasciamo questo Paese in mano alla burocrazia

L'economista presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali firma l'editoriale del numero di Vita magazine in distribuzione: «Non è questione di destra o di sinistra e non è nemmeno una questione di buona o mala fede; è questione di carenza culturale, di chi non sa che il Terzo settore è nato in Italia nel 1200. E che lì stanno le radici della nostra cultura e della nostra società. E non nelle mani di burocrati che non sono in grado di percepire i bisogni reali e quindi di immaginare risposte reali»

di Stefano Zamagni

Ogni governo dovrebbe tenere conto della differenza che sussiste fra governance e government. Si tratta di due livelli diversi di esercizio dell’autorità. Il secondo termine descrive il soggetto che deve prendere le decisioni finali, la governance ha a che vedere con le regole di gestione dei provvedimenti presi. Non sta scritto da nessuna parte che chi esercita la funzione di government debba attribuirsi anche la governance dei processi. Anzi nelle vere democrazie liberali questi due concetti sono tenuti separati. Dobbiamo interrogarci sul perché questo stenti ad affermarsi nel nostro Paese. La risposta è che in Italia non si vuole e quindi non si riesce a dare spazio alla cultura sussidiaria.

Se si nega la sussidiarietà come principio fondativo dell’ordine sociale, è ovvio che si finisca col sovrapporre government e governance. Così succede che nel Paese che ha il Terzo settore più sviluppato d’Europa (in rapporto alla popolazione), è proprio questo il settore che continui ad essere escluso da ogni processo decisionale. Un errore grave, che perpetuiamo non solo a livello centrale, ma anche a livello regionale. Il paradosso è che altri Paesi, con reti sociali meno sviluppate delle nostre, si stanno comportando in modo diverso. (Pensiamo solo che la Francia ha scelto di destinare il 25% circa delle risorse dell’Eu Next Generation al Terzo settore). Poi c’è un’altra lacuna: quella di non voler applicare il modello della democrazia deliberativa che nulla a che vedere con la democrazia decidente. In situazioni come quella che stiamo vivendo bisognerebbe istituire forum deliberativi, i quali potrebbero fornire orientamenti, informazioni e suggerimenti alle autorità di governo in modo da evitare le reazioni a volte scomposte che abbiamo visto in questi mesi. Se coinvolgo i cittadini prima che le decisioni vengano prese nelle varie sedi istituzionali, è evidente che poi questi non protesteranno. Se i cittadini fossero stati coinvolti nei vari processi decisionali, difficilmente avrebbero assunto comportamenti come quelli che abbiamo visto per esempio in concomitanza con le feste di fine anno. Il fatto è che in Italia non c’è nemmeno uno straccio di legge che regolamenti i forum deliberativi, come invece accade in Francia, in Germania e altrove. (C’è solamente una legge regionale, quella della Toscana).

Altro nodo: il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella sua prima versione si era completamente dimenticato del Terzo settore. Poi, dopo la protesta di tanti, la versione approvata in Cdm a gennaio ha destinato una parte di risorse, alquanto modesta, per irrobustire le strutture e la capacità di intervento del Terzo settore. Mantenendo però, ancora una volta, questi enti in una posizione ancillare rispetto alla pubblica amministrazione. A conferma dell’arretratezza culturale di enti pubblici che non ricercano il dialogo per giungere all’amministrazione condivisa. Invero, non è questione di destra o di sinistra e non è nemmeno una questione di buona o mala fede; è questione di carenza culturale, di chi non sa che il Terzo settore è nato in Italia nel 1200. Lì stanno le radici della nostra cultura e della nostra società. È in quel periodo che nacquero le confraternite, quelle organizzazioni che oggi chiamiamo associazioni di volontariato. È un mondo che nasce prima sia dello Stato sia del mercato, ma sembra che non ci sia modo di farlo capire. Come si spiega questo paradosso proprio nel Paese-culla del Terzo settore?

Una risposta ci viene da Giacomo Leopardi nel suo “Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degl’italiani” (1824), dove sostiene che gli italiani hanno un grave difetto: sono ammalati di esterofilia. Così, dimenticate le nostre radici, dal secondo dopoguerra siamo andati a rimorchio di modelli stranieri che ci hanno fatto credere che il Terzo settore debba porsi al servizio o dello Stato o del mercato…PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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