Cultura

Non fate come i polli, mangiate biologico

Dopo lo scandalo degli alimenti inquinati, ecco come difendere la nostra tavola dai veleni

di Federico Cella

Quella che prima appariva come una moda un po? snob, ora sembra diventata quasi una necessità. C?è voluto il pollo alla diossina, dopo le mucche pazze e la Coca Cola al biossido d?azoto, fatto sta che i negozi che propongono alimenti biologici in Belgio sono stati letteralmente presi d?assalto: il 50% in più delle vendite nel giro di pochi giorni. Cifre da rivoluzione alimentare, che anche in Italia trovano la loro brava conferma negli acquisti ?naturali?: latticini, verdura e frutta, ma soprattutto uova (5% in più) e carne (30%). Si tratta di cifre ancora limitate nel complesso, ma il fenomeno dei prodotti biologici anche nel nostro Paese sta assumendo una presenza reale, come dimostrato dal fatto che l?Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movement) abbia affidato all?Italia l?organizzazione della Conferenza mondiale sul mercato dei prodotti biologici ( aFirenze il prossimo ottobre). «A noi spiace che occorrano catastrofi così perché qualcuno si accorga che esiste un modo genuino di produrre e di alimentarsi», ci spiega Paolo Lumaca, agronomo del Centro Ecologico di Dimostrazione Agraria (Ceda), una realtà nata nel ?96 per proporre corsi di formazione sull?agricoltura sostenibile. «Comunque, ben venga il pollo indigesto, se solleva il sipario su una realtà importante come l?agricoltura biologica in Italia, che vede protagonisti sempre più agricoltori e allevatori di giovane età». Una realtà ancora poco affiorante (rappresenta poco più dell?1% del mercato alimentare italiano), ma che nasconde cifre da boom: nel ?93 le aziende biologiche italiane erano 4.200, nel ?98 già 44 mila, ossia un incremento di più del 1000% in cinque anni. Una crescita che non ha eguali nel settore agroalimentare, e che conta su 800 mila ettari di appezzamenti, le dimensioni di Liguria e Val D?Aosta messe assieme per intenderci, e produce un valore economico di 2 mila miliardi di lire. Una cifra importante, soprattutto se paragonata al ?fatturato biologico? negli Stati Uniti, pari a meno di 4 mila miliardi. I numeri della sana alimentazione in Italia, nata in forma pionieristica negli anni ?60 e cresciuta durante i ?70, ma che ha ottenuto una vera forma solo nel 1991 a seguito dell?entrata in vigore del Regolamento Cee, proseguono con 850 negozi specializzati, cento ristoranti biologici e oltre seicento aziende di agriturismo. Se consideriamo che alcuni prodotti biologici sono presenti nel 95% dei supermercati nostrani, viene da porsi una domanda inevitabile: ma dove sono questi prodotti? Una prima risposta viene dalla forte esportazione all?estero: più di un terzo finisce nei mercati europei, statunitensi e giapponesi. Una seconda considerazione, invece, va fatta sulle dimensioni delle aziende, spesso piccoli appezzamenti a conduzione familiare che esauriscono la propria produzione con l?autoconsumo o che, comunque, non dispongono dei fondi e dell?imprenditorialità adatta a costituire un marchio che sponsorizzi i propri prodotti biologici. E che, dunque, finiscono sul mercato come prodotti ?convenzionali?. Il costo per il consumatore dei prodotti biologici rimane, comunque, la causa senza dubbio principale di questa diffusione limitata. Un prezzo che non dipende tanto dai costi di produzione dell?azienda (pari al massimo a un 20-30% in più), quanto dalla dinamica posta dalla catena distributiva. Infatti le regioni in cui si ha una maggiore produzione biologica sono concentrate essenzialmente al Sud: nel ?97 la Sicilia contava 6.176 aziende, la Puglia 2.137 e la Sardegna 1.534, a fronte, per esempio, delle 454 della Lombardia, delle 540 del Veneto e 1.237 in Emilia Romagna. Questi dati a fronte di più due terzi delle richieste di consumo provenienti dal Nord, dove, peraltro, hanno sede le maggiori ditte di distribuzione. Per cui, in alcuni casi, si arriva al paradosso che una partita di pomodori biologici siciliani, prima di arrivare al mercato di Palermo, venga trasportata e immagazzinata in Veneto, e quindi rispedita verso sud. Ma, secondo Giampaolo Boldini, gestore di un allevamento biologico di galline ovaiole nel Trevigiano, il discorso da fare è un altro: «Per alcuni prodotti il consumatore accetta facilmente criteri di qualità: nessuno si aspetta che il vino in tetrapack sia equivalente al Brunello di Montalcino. Uno stesso ragionamento va fatto quando si tratta di scegliere di spendere 4-500 lire per un uovo fatto da una gallina che vive in condizioni di libertà, mangiando cereali sani, e di spendere 300 lire per un uovo fatto da una gallina condannata a vivere in batteria, con luce artificiale e costretta a ingurgitare mangimi che sono bombe chimiche e ormonali». Considerazioni che gettano fra gli esperti un?ombra di dubbio sulla possibilità che i prodotti biologici possano porsi come reale alternativa a quelli ?industriali?. Anche per una questione di resa produttiva: sia la zootecnia che l?agricoltura biologiche hanno insite nei propri processi, che ne danno la qualità, l?impossibilità di competere sotto l?aspetto della quantità. Una vera alternativa di mercato che, invece, si porrà fra qualche anno secondo Roberto Pinton, responsabile dell?Aiab (Associazione Italiana per l?Agricoltura Biologica), il maggiore degli organismi italiani di controllo. «Fino a qualche anno fa ci prendevano in giro per la miseria dei numeri del nostro progetto economico. Ora in molti si sono resi conto che abbiamo anche un progetto politico, ma, contemporaneamente, non viene più considerato l?aspetto legato al boom economico», conclude. «Anche da noi devono crearsi una cultura e un?informazione del prodotto biologico, sia fra i consumatori, sia fra i produttori». OCCHIO AL MARCHIO. Gli organismi di controllo autorizzati in Italia sono nove. Ecco le loro sigle ministeriali, che devono essere presenti sul prodotto se questo è veramente biologico: Aiab (AIB), Associazione Suolo e Salute (ASS), Bioagricoop (BAC), Consorzio Prodotti Biologici (CPB), Codex (CDX), Ecocert (ECO), Imc (IMC), QC&I (QCI), Bios (BIO) e Biozert (BZ001). Per ulteriori informazioni: Aiab, tel. 051.27.29.86, www.aiab.it/; Ceda tel. 06.95.30.87.83; il Mercato biologico in Rete: www.biomarket.it/ a cura di F.Cella e S.Olivieri Carne CONVENZIONALE. Taglio del becco, bruciature dei tendini e delle ali, alimentazione forzata: negli allevamenti industriali, dove gli animali crescono in batteria polli e vitelli subiscono una serie di ?trattamenti shock?. Ne derivano frequenti squilibri comportamentali, come il cannibalismo nei polli. Per favorire la crescita, aumentare l?appetito di polli e bestiame e al tempo stesso ostacolarne lo sviluppo normale, inoltre, vengono utilizzate sostanze di origine sintetica come acidi, ormoni, antibiotici e coloranti. Il risultato? Il pollo schizza da 45 grammi a 2,5 Kg in 40 giorni. BIOLOGICO. Per tutelare la salute degli animali, la scelta delle razze tiene conto delle capacità di adattamento alle condizioni ambientali, della loro vitalità e resistenza alle malattie. Per ogni specie è stabilito lo spazio minimo vitale garantito: oltre al pollaio coperto, ogni gallina deve disporre di almeno 5 metri quadrati di superficie erbosa. Ogni vitello ha bisogno, invece, di mezzo ettaro. Criteri che alzano la qualità dei prodotti ed anche il loro costo. Allevare un pollo di oltre 2 chili, infatti, richiede ben 80 giorni. Olio CONVENZIONALE. La produzione di olio di semi prevede l’utilizzo, consentito dalla legge, di acido fosforico, benzina e soda caustica. Quest?ultima entra legalmente anche nella preparazione dell?olio di oliva. Il semplice ?olio d?oliva?, d?altra parte, è costruito in gran parte da quell?olio lampante, frutto della spremitura di olive troppo mature e/o attaccate da parassiti, che prima dell?elettrificazione dell?Italia era utilizzato per le lampade ad olio. Dopo un trattamento con soda caustica per eliminare il cattivo odore, l?olio da lampade diventa ?olio di oliva raffinato? e aggiungendo olio di oliva vergine diventa ?olio di oliva?. BIOLOGICO. Preparare l?olio extra vergine biologico è decisamente semplice: si lavano le olive con acqua, segue la spremitura meccanica a temperatura non superiore a 37°, quindi la fase di decantazione indispensabile per separare la frazione acquosa. L?olio viene poi filtrato, messo in cisterna e quindi imbottigliato. Pomodori CONVENZIONALE Coltivati sullo stesso terreno per più anni, i pomodori per la passata sono trattati con diserbanti chimici, geodisinfestanti e bromuro di metile, contro i funghi e gli insetti. Prodotti chimici di sintesi sono utilizzati anche per il terreno. Non solo. Le coltivazioni convenzionali fanno grande uso di ormoni per rendere più ?appetibile? il prodotto finale: un pomodoro senza semi è stato sicuramente trattato. BIOLOGICO. Ai cocktail di prodotti chimici si predilige la rotazione e la lavorazione del terreno: non coltivando pomodoro sempre sullo stesso appezzamento, funghi e insetti non fanno in tempo a radicarsi nell?habitat. Il concime è organico, costituito da compost e sovescio di leguminose. Sono banditi gli ormoni e le serre riscaldate a gasolio.


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